Una volta la parola chiave per raccontare i territori era “distretto”. Oggi ti ritrovi a usare, mutandola dal digitale, “piattaforma”. Potenza della tecnica e del desiderio di guardare avanti per capire tendenze economiche e sociali. Partendo dalle potenzialità del digitale, scaviamo dentro le piattaforme manifatturiere 4.0, i servizi del turismo e del commercio con Airbnb ed e-commerce, la valorizzazione dei beni culturali come le colline del Barolo e del Prosecco e nella scomposizione del diamante del lavoro in creativi e servili, sino alle piattaforme di area vasta dell’urbano regionale, disegnando smart city.
Poi rivolgiamo uno sguardo distratto all’agricoltura. Sarà per il suo scarso 2,1% rispetto al Pil. Sorvoliamo e non atterriamo mai sulla terra poco raccontata, eppure mai tanto evocata come ambiente. L’innovazione obbliga a una rivoluzione dello sguardo, certo per camminare verso il futuro, ma non dimentichiamo le lunghe derive e di girare lo sguardo, come raccomandava un grande filosofo della modernità. Viene un po’ il torcicollo a guardare le piattaforme agricole che osservate nelle filiere, aggiungendo l’industria alimentare, portano il Pil al 3,9% e svelano nodi ipermoderni per la tecnica, per i consumi, per il lavoro e buoni ultimi, ma primi come urgenza, per l’ambiente, in un intreccio tra ecologia ed ecologia della mente.
La scomposizione delle filiere agroalimentari mette a fuoco uno scenario in cui convivono il massimo di innovazione da green economy (sperimentazione genetica, chimica fine, meccanizzazione, automazione, digitalizzazione al campo) e massimo di mediocrità (condizioni di semischiavismo, false cooperative, traffici di rifiuti, spreco di risorse idriche, impoverimento dei suoli, aste al doppio ribasso…). Da qui la pressione sulle filiere agroalimentari per avere qualità crescente a costi decrescenti, a trasformare le aspettative di consumo in diritto alla salute, alla salubrità, al bio, al chilometro zero, fino a una certa idea di sovranismo alimentare. Polarità stridenti tra fattori di modernizzazione e fattori di civilizzazione. Se poi guardiamo alla civiltà materiale che nel nostro mondo chiamiamo consumo, dove si vota con il portafoglio e si mangia con la testa, e nell’altro, senza portafoglio e con la fame, vediamo le migrazioni epocali.
Da noi, pur nel declino dei ceti medi in termini di reddito e potere d’acquisto, il contenuto culturale e simbolico dei consumi è cresciuto in modo così importante da ridefinire i criteri e le aspettative dell’esperienza d’acquisto, ponendo al primo posto una domanda di sicurezza alimentare magari tracciata dalla blockchain e riscontrabile con uno smartphone. Anche in agricoltura riappare la diatriba antica tra il piccolo e bello del locale e piattaforme nei flussi delle commodity. L’agricoltura e le filiere agroalimentari del Made in Italy navigano lì in mezzo, cercando di consolidare posizioni di mercato, coniugando la biodiversità agricola dei luoghi con le esigenze della competizione di gamma media e alta. Questa tendenza complessiva dà vita alle piattaforme territoriali dei cereali, dell’ortofrutta, del pomodoro, delle carni, dei latticini… che cercano di tenere assieme tradizioni locali e innovazione. Tanto per cambiare più strutturate al nord nella Pianura padana delle filiere agroalimentari che nel sud più vocato per prodotti e clima. Le lunghe derive segnano le aree territoriali della mezzadria di un tempo e del latifondo. L’ipermodernità ci segnala la raccolta del pomodoro in Padania con meccanizzazione da meccatronica 4.0 e il caporalato a sud dove si muore ancora per raccogliere pomodori e meloni. Le forme dei lavori segnalano un mondo agricolo disorientato e frammentato da “contadini molecolari”, come il capitalismo molecolare della manifattura quando non riesce ad agganciarsi alle filiere.
In controtendenza vi è il segmento affluente dei ritornanti all’agricoltura che decidono di continuare, invertendo il trend di abbandono delle terre, investendo in qualità dei prodotti e sperimentando processi di economia circolare ai tempi della crisi climatica e della domanda di sicurezza alimentare a basso impatto ambientale. Le metamorfosi in agricoltura che ho tratteggiato ci svelano che anche in ciò che riteniamo marginale troviamo processi socioeconomici e di innovazione da piattaforme. Partendo dalla terra dove stanno i piedi per arrivare alla testa dell’intelligenza artificiale. Usiamola la testa, perché nella terra più che altrove insiste la questione ambientale che riguarda anche i sorvolatori del mondo.