La matematica rivista come prassi politica, e non solo come teoria, è un formidabile esercizio di democrazia: come la democrazia si fonda su un sistema di regole, crea comunità e lavora sulle relazioni. Studiando matematica si capiscono molte cose sulla verità. Per esempio che le verità sono partecipate e pertanto i principî di autorità non esistono; che le verità sono tutte assolute ma tutte transitorie perché dipendono dall’insieme di definizione e dalle condizioni al contorno. Come la democrazia, la matematica amplia ma non nega. Svolgere un problema matematico è un esercizio di democrazia perché chi non accetta l’errore e non si esercita nell’intenzione di capire il mondo non riesce né a cambiarlo né a governarlo.
Sulla copertina del libro di Chiara Valerio si legge: «La matematica è stata il mio apprendistato alla rivoluzione, perché mi ha insegnato a diffidare di verità assolute e autorità indiscutibili. Democrazia e matematica, da un punto di vista politico, si somigliano: come tutti i processi creativi non sopportano di non cambiare mai».
La scienza non avanza per certezze, ma per ipotesi: è verificabile. Le verità della scienza evolvono. E pensare agli scienziati come ai sacerdoti della soluzione o della guarigione è un modo di delegare la responsabilità politica. La democrazia è un procedimento lento e complesso e che si autoregola nel tempo, e e regole su cui si basa sono condivise e vanno costantemente rinnovate e verificate, proprio come in una teoria scientifica: e questa manutenzione della democrazia si fa esercitando i diritti e rispettando i doveri.
La democrazia e la matematica, infine, non subiscono il principio di autorità: la regola democratica è un processo orizzontale e condiviso, una costruzione culturale di cui occorre prendersi cura, che ha bisogno di fatica ed esercizio, e in questo risulta rivoluzionaria.