La manovra riscritta in versione-bis per evitare la procedura d’infrazione scende a quota 31 miliardi. Il dimagrimento si spiega prima di tutto con circa 9 miliardi di minori spese: il lavoro di forbici è partito dai fondi per reddito e quota 100, che perdono 4,6 miliardi (2,73 chiesti alle pensioni, e non più 2 perché la finestra per il pubblico impiego si aprirà a ottobre e non a luglio, e 1,9 al reddito) e portato avanti rinviando al futuro 2,3 miliardi di investimenti legati a Ferrovie, cofinanziamenti delle politiche comunitarie e Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale. Il fondo per gli investimenti della Pa centrale perde poi altri 700 milioni, compensati però dall’utilizzo di fondi Ue per il dissesto idrogeologico. Su questo punto viene poi confermata la flessibilità che esclude 3,7 miliardi (0,2% del Pil) per spese straordinarie su manutenzione del territorio e della rete stradale.
Il capitolo delle maggiori entrate vale invece intorno agli 1,2 miliardi, con i 450 milioni del pacchetto giochi, con la nuova tassa sulle scommesse sportive, la web tax (150 milioni il primo anno, 600 dal secondo) e una rimodulazione di crediti d’imposta e sconti fiscali che fa sparire anche l’Ires agevolata per gli enti non commerciali (435 milioni in tutto nel 2019). Una mano, che vale 950 milioni il primo anno e150 l’anno negli altri due, arriva dalle dismissioni immobiliari. In termini di saldi, lo sforzo per avvicinarsi a Bruxelles vale 10,2 miliardi per l’anno prossimo, 12,2 per il 2020 e 16 per il 2021. Tradotto misura per misura negli allegati alla lettera inviata a Bruxelles da Conte e Tria per l’accordo.
Su questa costruzione, che ridisegna la curva del deficit nominale al 2% (lo 0,04% “aggiuntivo” non è ovviamente scritto nelle tabelle mandate alla Ue) nel 2019 per scendere all’1,8% nel 2020 e all’1,5% l’anno successivo, pesano poi due clausole. Per l’anno prossimo c’è quella sulla spesa, in versione preventiva, che accantona 2 miliardi di euro (extra-saldi, e ricavati soprattutto dalle spese di funzionamento della Pa centrale) da liberare solo se il monitoraggio previsto a luglio dirà che le cose vanno meglio del previsto. Ma sul 2020 e 2021 ritornano in campo gli aumenti Iva, con cifre ancora più forti di quelli scritti nella manovra dell’anno scorso. A offrire i numeri precisi sono le tabelle allegate alla lettera a Bruxelles. Rispetto alla versione di ottobre, l’Iva cresce di 9,41 miliardi nel 2020 e di 13,183 nel 2021. Sommati alle clausole che erano ancora presenti nella vecchia manovra, significa che il tutto poggia su aumenti da 51,9 miliardi in due anni (22,9 il primo e 29 il secondo). Si tratta di un’incognita pesante sui saldi, di cui Bruxelles ha scelto di tenere conto a differenza del passato. Proprio la freddezza europea sulle clausole, fin qui bloccate dall’Italia, ne aveva evitato l’inserimento nel primo dossier mandato alla commissione. Ma la mossa si è poi rivelata indispensabile per far quadrare i conti almeno sulla carta.
Nella sua nuova versione, ha spiegato Tria in un’intervista serale a Porta a Porta, la manovra è espansiva per quattro decimali di Pil (contro i sei decimali della vecchia versione). Nei nuovi conti, che ora saranno scritti nell’ennesimo aggiornamento del programma ufficiale di finanza pubblica, la crescita è data all’1% nel 2019, all’1,1% nel 2020 e all’1% nel 2021. Il debito, anche in conseguenza di questa performance più modesta rispetto a quella ambiziosa di ottobre-novembre, scende meno rispetto al vecchio programma. Per quest’anno, l’ultimo calcolo lo attesta al 131,7%. La parabola lo taglierà di un punto l’anno prossimo, per portarlo al 129,2% nel 2020 e al 128,2% a fine triennio.