Al confine tra Milano e Cormano c’è un’officina dove ritrovano vita auto storiche dal passato illustre. La carrozzeria Lopane, specializzata nel restauro di fuoriserie italiane degli anni ’50 e ’60, trova vecchie automobili spesso in condizioni precarie e le rimette a nuovo grazie a una combinazione originale di tecnologie 4.0 e manualità vecchio stile. La tecnologia è fondamentale per riportare in vita automobili che hanno un valore ancora contenuto sul mercato dei collezionisti: a partire dalle parti di vettura ancora integre e grazie a fotografie e video d’epoca si ricostruisce un modello digitale di carrozzeria che viene poi realizzato grazie alle tecniche con cui hanno lavorato i battilastra per oltre un secolo. I clienti della carrozzeria Lopane vengono da tutto il mondo per vedere come rinascono le loro vetture. Milano, con Torino e Modena, è stata una delle città chiave nella storia delle automobili fuoriserie, prodotte da carrozzieri indipendenti come Touring e Zagato. Chi le vuole guidare, è qui che torna per vederle restaurate.
La storia dei fratelli Lopane e del loro laboratorio alla periferia di Milano è meno eccezionale di quello che si potrebbe pensare. Il primo Camp di Manifattura Milano tenutosi a metà marzo ha visto un centinaio di imprese presentare percorsi simili. Nella Milano dei servizi e della finanza trova spazio una manifattura di qualità capace di dialogare con l’innovazione tecnologica senza dimenticare design e cultura del fare. L’obiettivo del progetto Manifattura Milano voluto dall’assessore Cristina Tajani è proprio quello di far emergere e promuovere questa consistente coorte di imprese mettendo in evidenza percorsi imprenditoriali che contribuiscono a fare emergere un legame forte fra competitività e radicamento sociale.
Quali sono le caratteristiche specifiche di questi nuove forme di manifattura urbana? Le tante esperienze presentate identificano alcuni profili caratteristici. Oltre a una consolidata presenza di artigiani digitali capaci di saldare in modo originale tecnologia e saper fare tradizionale (di cui Lopane è un ottimo rappresentante), cresce un gruppo di startup in grado di sviluppare innovazioni hardware 4.0 con ampio margine e si consolida una scena di maker e Fab Lab capaci di contribuire alla vita economica e sociale della città. I tre profili, ben rappresentati al Camp, contribuiscono a formare un ecosistema unico che arricchisce e qualifica la crescita economica e sociale della città. Ciò che accomuna queste realtà, prevalentemente di piccola dimensione, è la capacità di promuovere un’offerta in grado di saldare prodotto e servizio e di sperimentare in campo tecnologico senza dimenticare design e progetto culturale. Emblematico il caso di Zehus che produce ruote intelligenti per biciclette elettriche a poche centinaia di metri dalla stazione Centrale. Bike+ è un esempio di prodotto 4.0 sul quale si incardina, proprio a Milano, una delle sperimentazioni più avanzate del bike sharing a flusso libero. Un oggetto bello e intelligente al centro di una nuova idea di mobilità.
Se è chiaro che questa nuova generazione di produttori ha bisogno di Milano, dei suoi grandi appuntamenti internazionali e delle sue competenze in ambito tecnologico, è altrettanto vero che la città trae un beneficio sostanziale da questa nuova manifattura urbana. Fra i meriti principali di queste impese c’è la capacità di rappresentare un punto di riferimento nei processi di riqualificazione di aree periferiche o problematiche. All’origine del contributo di queste imprese alla vita della città vi sono motivi diversi: offrono lavori qualificati duraturi molto diversi da quelli proposti dai campioni della gig economy, legano imprenditori e collaboratori a progetti culturali di ampia portata, aprono quartieri marginali al confronto internazionale. La cultura del lavoro di cui Manifattura Milano si fa carico è il vero motore dei processi di riqualificazione a scala metropolitana.
Il percorso avviato da Milano è molto simile a quello promosso da altre metropoli europee che hanno visto in una nuova manifattura la leva per riqualificare aree problematiche. Se vent’anni fa per rilanciare una città o un quartiere in difficoltà si puntava alla costruzione di un museo, oggi si punta a creare imprese e lavoro di qualità. È il caso di Parigi che ha scommesso sull’artigianato legato ai campioni del lusso francese per rilanciare alcune municipalità della prima periferia. Pantin, che oggi ospita gli Atéliers di Hermès e i laboratori di Chanel, è diventato un quartiere alla moda e Montreuil, altro quartiere difficile, è oggi la “Brooklyn di Parigi” grazie alla proliferazione di laboratori e spazi di coworking artigiani.
Barcellona ha rilanciato il Poble Nou, ex quartiere industriale della città,grazie all’insediamento del Fab Lab Barcelona guidato da Tomas Diez nell’ambito delle attività dell’Institute for Advanced Architecture of Catalonia. Il successo di questa esperienza ha messo in moto iniziative simili in tutta la città. Di queste e altre sperimentazioni si parlerà a luglio a Parigi alla terza edizione del Fab City Summit in cui sono attese decine di città non solo europee (https://summit.fabcity.paris).
Quanto dell’esperimento milanese può essere replicato in altre realtà urbane e metropolitane del nostro paese? Più di quello che potrebbe sembrare a prima vista. Nel corso dell’ultimo decennio una generazione di giovani imprenditori ha saputo promuovere esperienze non dissimili da quelle presentate al Camp di Manifattura Milano. Agli amministratori locali il compito di ascoltare le voci più interessanti del proprio territorio per concentrarsi su politiche in grado di abilitare nuove economie urbane.