Dazi e crisi dell’auto da un lato. Debolezza della domanda interna e stop degli investimenti dall’altro. L’esito del micidiale mix, ormai non più qualche raro granello ma vere manciate di sabbia, è il rallentamento del motore economico nazionale, la Lombardia, che riporta indietro le lancette di sei anni. Occorre infatti riavvolgere il nastro fino al 2013 per trovare l’ultimo dato negativo su base annua nella produzione industriale lombarda, così come bisogna arrivare fino a lì per veder comparire un valore peggiore nel confronto congiunturale. Dati che preoccupano ma che in fondo non sorprendono, perché in effetti basta uno sguardo veloce alle curve recenti per capire come il trend ribassista degli indicatori fosse presente ormai da tempo.«La preoccupazione principale è che la stagnazione diventi un elemento che accettiamo in chiave passiva anziché reagire», ha commentato il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia intervistato dal Tg3, «siamo un Paese ad alta vocazione all’export: significa che il rallentamento dell’economia comincia ad arrivare anche a casa e che dobbiamo reagire come Paese e come Europa». In questo contesto la priorità per Confindustria è «il cuneo fiscale: ridurre le tasse sul lavoro e quindi elevare i salari dei lavoratori italiani».
Nell’analisi di Unioncamere Lombardia, realizzata su un campione di 1500 imprese industriali (più altre 1100 artigiane) la novità è nel confronto annuo che nel secondo trimestre 2019 vede un calo dello 0,9% per la produzione dopo ben 24 trimestri consecutivi in crescita. Arretramento confermato anche nel dato congiunturale, in calo dell’1,2%. L’indice dell’output scende così a quota 110,4, allontanandosi nuovamente dal massimo pre-crisi (113,3) registrato nel 2007. In termini settoriali il quadro è mediamente negativo (sette comparti su 13 arretrano), anche se la contrazione di gran lunga maggiore si registra nell’abbigliamento (-9,7%), area in cui avviene peraltro l’impennata più significativa della cassa integrazione. Che per il resto, seppure in lieve aumento, rimane invece al di sotto dei livelli di guardia (solo il 6,8% delle imprese vi fa ricorso) confermando lo sfasamento temporale tra produzione e occupazione. Che nel trimestre, in termini di saldo tra entrate e uscite, continua in effetti a registrare valori positivi.
Per la regione italiana più integrata con la domanda internazionale è però evidente l’impatto del rallentamento del commercio globale, acuito per le imprese locali dalle difficoltà dell’auto tedesca, i cui volumi produttivi sono ancora in calo a doppia cifra nel 2019 dopo un già pessimo finale di 2018. Crisi che si traduce in un calo per la meccanica, più in generale nella discesa al 38,7% della quota di vendite realizzata oltreconfine, il minimo da metà 2012. Già nel primo trimestre, peraltro, l’Istat registrava per l’export della regione un calo dell’1,6%, oltre mezzo miliardo di vendite in meno. Se la media regionale in termini di produzione non è particolarmente brillante, anche la scomposizione delle performance non offre un quadro incoraggiante: scende infatti al 40% la quota di aziende che segnala una crescita mentre aumenta al 43% l’area in contrazione. Così, se appena un anno fa il saldo tra questi due fenomeni era positivo di ben 28 punti, oggi l’indicatore è negativo di tre.
Un quadro già sufficientemente cupo che potrebbe tuttavia anche peggiorare, almeno a giudicare dagli indicatori prospettici. Gli ordini interni cedono infatti un decimale rispetto all’anno precedente e quelli esteri sono ormai prossimi a quota zero (+0,3%), segnalando il progressivo indebolimento della domanda internazionale. Che invece per l’intero 2018 presentava una media brillante, con commesse in progresso di quasi 5 punti. Le attese sulla domanda sono in linea con queste previsioni, in peggioramento sia sul fronte interno che internazionale. E se per l’Italia il saldo tra ottimisti e pessimisti approfondisce un “rosso” già presente da metà 2018, per la domanda estera si tocca invece quota zero per la prima volta dal 2012.
Se mediamente i dati del trimestre non sono incoraggianti, va detto che il rallentamento non è distribuito in modo uniforme tra “big” e Pmi. Per le realtà fino a 49 addetti il calo dell’output è dell’1,6% mentre le imprese di oltre 200 addetti sono in pari rispetto allo scorso anno. «Una conferma – commenta il presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio – del fatto che l’eccessiva frammentazione del tessuto imprenditoriale rappresenti un limite per la competitività. È quindi importante che tutti gli attori che sostengono le imprese facciano sistema per favorire lo sviluppo di solide relazioni produttive e gli spillover di conoscenza, anche per fronteggiare un periodo carico di incertezze che imporrà nuove sfide alle imprese lombarde». Il cui peso sulla produzione nazionale è ben evidenziato dall’analisi ad hoc realizzata sulle singole filiere produttive. Prendendo ad esempio macchinari e automazione, oppure metallurgia o ancora chimica e cosmetica, la regione da sola sviluppa dal 35 al 40% del valore aggiunto nazionale. Dire che quando si blocca la Lombardia si ferma anche l’Italia è qualcosa di più di un modo di dire.