Ormai sono passati oltre 9 mesi dalle elezioni politiche. E quasi 6, dalla formazione del governo Giallo-Verde. Più che una svolta: uno spartiacque.
Una “frattura”. Infatti, il 4 marzo scorso la maggioranza degli italiani ha espresso apertamente la volontà di voltare pagina. Contro il passato. E contro il presente.
Così, ha premiato gli attori politici che, più degli altri, hanno interpretato il disagio (anti)politico della maggioranza – non più tanto silenziosa – degli italiani.
Ebbene, nonostante le difficoltà e le tensioni affrontate, il sostegno degli italiani alle forze di governo, secondo il sondaggio condotto da Demos nei giorni scorsi, non è venuto meno. Al contrario.
Infatti, alle elezioni, il M5s e la Lega, insieme, avevano raccolto poco più della maggioranza assoluta dei voti.
In larga misura, intercettati dal M5s. Oggi, le stime di Demos rilevano come la base elettorale dei partiti di governo sia cresciuta ancora.
Raggiunge, infatti, quasi il 58%. Tuttavia, il mutamento più evidente, rispetto alle elezioni, riguarda i rapporti di forza fra i partiti di governo. Rovesciati.
Perché oggi il partito più forte è la Lega. Primo, non solo nell’area di governo, ma nel Paese. Ha, infatti, superato il 32%. Pressoché il doppio rispetto allo scorso marzo. E quasi 30 punti in più, nei confronti del 2013. Quando, a fatica, aveva raggiunto il 4%. Il M5s, invece, è sceso di 7 punti.
Complessivamente, la maggioranza di governo si rafforza ancora. Tuttavia, come si è detto, cambiano sensibilmente le misure dei partiti. E ciò può avere, anzi: ha già avuto, effetti politici significativi. Dentro e fuori il governo. Anzi: più dentro che fuori. Perché fuori è cambiato poco, negli ultimi mesi. A sinistra: il popolo del PD, dopo l’esilio volontario – provvisorio – di Renzi, appare ancora sperduto nel deserto, come ha spiegato Ezio Mauro, ieri.
Tuttavia, il partito sembra aver frenato la sua discesa, iniziata con il voto di marzo, quand’era scivolato sotto al 19%. Oggi è rimasto lì. Al 17,5%. Sempre poco, se si pensa alle Europee del 2014, quando il Pd di Renzi aveva superato il 40%. Ma, almeno, sembra aver evitato il “salto nel vuoto”, suggerito dai sondaggi successivi al “voto”. A destra, peraltro, FI galleggia, poco sopra il 9%. Spinta ai margini da Salvini. Che, dopo aver utilizzato il “traino” di Berlusconi, lo ha abbandonato. Insomma, si riproporne la “convergenza” fra soggetti politici “divergenti”. Da tutto e da tutti. Come alle elezioni. E nella formazione del governo.
Il M5s e la Lega, infatti, hanno intercettato e continuano ad attrarre l’insoddisfazione, meglio, la “divergenza”, dei cittadini nei confronti delle istituzioni, nazionali ed europee. Il loro “spaesamento democratico”, alimentato dalla crisi economica, si è indirizzato verso bersagli, in parte, diversi. Perché diversa è la geografia elettorale dei due partiti. Il M5s, affermatosi nel Centro Sud, ne interpreta la richiesta di assistenza. La Lega, che si è imposta nel Centro Nord, è sensibile alla domanda dei ceti produttivi.
Lega e M5s, tuttavia, hanno un mercato elettorale “nazionale”. Non vincolato, in modo rigido, da confini geografici tradizionali.
Entrambi hanno eroso lo spazio della Sinistra. Che ha perduto il Centro. Largamente “espugnato” dalla Lega. Lega e M5s perseguono e inseguono, dunque, interessi diversi.
Uniti da un comune nemico. I partiti e i leader che hanno governato in passato. Nella Seconda Repubblica. Quando anche la Lega è stata protagonista. Ma era un’altra Lega. Nordista. Federalista.
Mentre questa è una Lega Nazionale e personale. La Lega di Salvini. Probabilmente, proprio questi elementi ne spiegano il successo e la crescita. Perché, se osserviamo i flussi del voto, dopo le elezioni di marzo, vediamo come la Lega abbia assorbito una parte rilevante della base elettorale di FI. Ieri: alleata.
Oggi: periferia della Lega. Ma, soprattutto, di Salvini.
Protagonista del teatro dove va in scena la politica come spettacolo. Salvini: interpreta personaggi e testi all’insegna della paura. Dell’altro. Con indubbio successo. Presso pubblici diversi. I disoccupati, i precari. Ma anche i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori. Il popolo delle “periferie” urbane e produttive. Un tempo presidiate dalla sinistra. Che oggi si è rifugiata nei centri storici. Nelle aree borghesi.
Matteo Salvini è “l’imprenditore politico della paura”. Meglio: delle “paure”.
Si tratta di una parte che, al di là di giudizi di valore, recita meglio di ogni altro. (Solo Antonio Albanese è altrettanto bravo. Ma meno inquietante).
Sicuramente, meglio di Luigi Di Maio. Che, anzi, gli fa da spalla. Da com-primario. E ha permesso a Salvini e alla “sua” Lega, LdS, di apparire e divenire protagonista.
Così, il M5s rischia di ruotare intorno alla LdS. Di recitare una parte minore. Quasi una Lega a 5s. Attore non protagonista. In uno spettacolo dove tutti gli altri soggetti politici fanno il coro.
O, peggio, gli spettatori.
Mentre dall’alto, a Bruxelles, osservano lo “spettacolo di Matteo” con attenzione. E inquietudine.