La durata della commissione e i suoi poteri, ecco cosa colpì il Colle appena analizzò la legge: «Riguarda le banche ma sembra l’Antimafia». Non dev’essere perciò una semplice coincidenza se ieri l’ex presidente della Camera Casini ha usato lo stesso paragone: «Sarebbe inaccettabile se la commissione d’inchiesta sul settore creditizio si trasformasse in una sorta di Antimafia delle banche, perché le banche non sono un fenomeno criminale». Ma il sospetto resta, malgrado le rassicurazioni offerte dai grillini, che attendevano da tempo la firma del capo dello Stato sul «loro» provvedimento. Per una volta le valutazioni pubbliche di Casini — che accomunano tutte le forze di opposizione — collimano con quelle riservate espresse dai dirigenti della Lega, preoccupati che il Parlamento si trasformi in una «tribuna per comizi» su un tema così delicato. E con il rischio che si scardini il sistema.
Su questa tesi Giorgetti c’è da tempo. Aveva già avuto modo di spiegarlo a Salvini, ricordandogli peraltro che «le banche si fanno carico di acquistare una parte consistente del debito pubblico», e nell’attuale contesto economico «lo sforzo che dovranno sostenere sarà maggiore»: non si può chiedere sostegno a chi viene messo nel mirino. Il sottosegretario alla Presidenza è in linea con i richiami di Mattarella, che non a caso ha voluto accompagnare la promulgazione della legge con una lettera sui limiti a cui dovrà attenersi la commissione: non l’aveva fatto la volta precedente. E secondo Casini c’erano persino «gli estremi per rimandare indietro la legge, ma il presidente della Repubblica ha preferito un atteggiamento soft».
In ogni caso il Quirinale ha chiesto e ottenuto garanzie dai presidenti delle Camere: tanto la Casellati quanto Fico hanno assicurato che useranno le loro prerogative «per vigilare sull’azione della Bicamerale». E si adopereranno nei limiti delle loro competenze per esortare il Parlamento a scegliere «una figura dal profilo autorevole» per la presidenza della commissione. Da quella scelta si capirà l’impostazione che i grillini intenderanno dare al lavoro istituzionale, e su questo Salvini vorrà chiarirsi con Di Maio. Ma giusto per prevenire qualsiasi tentazione, gli uomini del ministro dell’Interno hanno approntato delle contromisure, perché — come dice un rappresentante del governo — «non intendiamo consentire ai Cinquestelle di dare spettacolo con la loro demagogia sulle banche durante la campagna elettorale per le Europee».
L’obiettivo del Carroccio è fare in modo che la commissione apra i suoi lavori solo dopo la chiusura delle urne, così da non ridurre il Parlamento a una gabbia da talk show. A pensar male si farà anche peccato, ma andreottianamente i leghisti (e non solo loro) ragionano sul fatto che il Movimento potrebbe adoperare la commissione per rendere di nuovo fertile l’humus nel quale è cresciuto, e usare la protesta contro il sistema per rivitalizzarsi in una fase di estrema debolezza: «Così andrebbero a caccia del consenso ai nostri danni».
È la particolarità dell’alleanza giallo-verde: ogni provvedimento giova a un partito a detrimento dell’altro. Certo, anche Salvini cerca di sfruttare la commissione, per quanto il suo approccio sia più sfumato rispetto a Di Maio: ma il dibattito è utile a distogliere l’attenzione dal ritardo del governo sul decreto che dovrebbe rimborsare i risparmiatori truffati. E poi, in fondo, non è una novità usare le banche per tentare di rilanciarsi politicamente: nella scorsa legislatura fu la strada che provò Renzi. Il copione sembra riproporsi, con un limite: la Lega non vuole che la commissione si trasformi in una «Antimafia delle banche».