La Lega è cambiata, nel corso della sua storia. Soprattutto nei tempi recenti. Perché in un arco temporale relativamente breve, un decennio, ha cambiato non solo leadership. Ma strategia, messaggio. Insieme a molti aspetti della base elettorale. Un complesso di trasformazioni complesse, riassunte dal mutamento, forse, più significativo. Il Nome. Perché la Lega, in origine, negli anni Ottanta, era Veneta, Lombarda. Poi, negli anni Novanta, è divenuta Nord e Padana. Anzi: “Lega Nord per l’indipendenza della Padania”. Mentre oggi si è sdoppiata. Perché alla “Lega Nord” si è affiancata e sovrapposta la “Lega per Salvini premier”. Tuttavia, dovunque, il richiamo diretto al capo ha sostituito il riferimento territoriale. Perché, dovunque, la Lega si presenta come un “partito personale”. Ha, cioè, il volto di Salvini. Le parole di Salvini.
Che rimbalzano su tutti i media. Dagli schermi ai social. E dai social sul territorio. Analogamente a quanto è avvenuto nella politica italiana, e non solo, durante gli ultimi 25 anni. Da quando, cioè, Silvio Berlusconi ha fondato Forza Italia. Un partito-impresa con un solo volto. Un cambiamento tanto profondo, nella Lega, avvenuto in tempi (relativamente) brevi, non poteva non riflettersi anche all’interno. Non al punto di generare fratture tra “fazioni” e “correnti”, perché nonostante la battuta d’arresto in Emilia-Romagna, la Lega è ancora il primo partito in Italia, secondo i sondaggi. Troppo forte, per alimentare divisioni interne. Le tensioni, invece, per quanto inespresse, emergono tra soggetti politici del passato e del presente.
Che interpretano Leghe e storie diverse, per quanto cresciute sotto lo stesso tetto. L’intervista di Gad Lerner a Umberto Bossi, pubblicata nei giorni scorsi sulle pagine di Repubblica, ne offre una testimonianza evidente. E molto interessante. Bossi, per statuto, presidente a vita della Lega Nord (ma senza incarichi…), ha, infatti, manifestato, senza sottintesi, la propria (s)valutazione critica verso la Lega di Salvini. Per una ragione, su tutte. La svolta “nazionalista”, che guarda a Centro-Sud. E lascia sullo sfondo il Nord. Il Lombardo-Veneto. La stessa Emilia-Romagna. Giudizi che Salvini ha liquidato senza riserve. Di fronte alla prova dei “numeri”. Tuttavia, il giudizio di Bossi non è in-fondato. Non solo su basi storiche e di identità. Ma anche elettorali.
Alle recenti Europee, infatti, la Lega ha ottenuto il 34,3% dei voti validi. Ma nel Nord Ovest ha raggiunto il 40,7 e nel Nord Est il 45,6 per cento. La Lega mantiene quindi le sue radici nel Nord. E, anzi, le rafforza. Tuttavia, è indubbio che abbia allargato la sua base elettorale in tutte le zone del Paese. Nelle Regioni centrali ha ottenuto intorno al 33 per cento. E nel Mezzogiorno ha superato il 20. La Lega, dunque, si è certamente nazionalizzata. E affonda, ancora, le sue radici nel Centro Nord. Al tempo stesso, la Lega di Salvini ha specificato la propria identità in due direzioni precise. In primo luogo: la personalizzazione. In secondo luogo, ha rafforzato il proprio profilo politico: nazionale e di destra. D’altronde, il principale alleato di Salvini, in Europa, è il Front – oggi Rassemblement – National, guidato da Marine Le Pen. Sua amica personale. Va, peraltro, chiarito che la Lega di Salvini intercetta, principalmente, i settori moderati della destra. Il 37% degli elettori della Lega si colloca a centro-destra (sondaggio Demos, dicembre 2019). Un settore alimentato, soprattutto, da Fi, ormai s-finita dal declino di Berlusconi. Così la componente più ampia degli elettori che guardano alla Lega oggi preferisce l’etichetta della destra “moderata” rispetto a quella “radicale”. Nonostante le posizioni del leader non appaiano molto moderate… Bossi e Salvini interpretano, dunque, due storie diverse della Lega, che, però, si “legano” insieme. Perché la Lega di Salvini è molto più “personalizzata” rispetto a quella di Bossi. Che fondava la propria identità sul territorio. Mentre la Lega di Salvini ha un solo volto. Un solo nome. Oggi, infatti, si presenta come la “Lega di Salvini Premier”. Una Lega personale e nazionale, nelle intenzioni del leader. Che intende proiettarla nel Centro Sud. Non per nulla ha ottenuto il suo seggio senatoriale a Roma. E, prima, a Reggio Calabria. Lontano dalle zone dove un tempo risuonava il grido: «Roma ladrona, la Lega non perdona».
Quella Lega oggi è cambiata. Salvini l’ha nazionalizzata. Soprattutto sul piano della strategia e della comunicazione. Visto che oggi, nel suo messaggio, vengono «prima gli italiani». Anche se appare ancora ben ancorata nel Nord, dove alle recenti Europee ha ottenuto circa il 53% dei propri voti. Tuttavia, alle elezioni politiche del 2008, al di sotto del Po, aveva intercettato meno del 10% dei voti. Alle Europee del 2019: quasi metà. E nel Mezzogiorno oltre il 16 per cento.
Il problema, per questa Lega, è che la personalizzazione e la perdita della geografia comportano un rischio. La perdita dell’identità. Che, oggi, si Lega indissolubilmente al leader. Ne in-segue le sorti. Nel bene. Ma anche nel “meno bene”, per non dire “nel male”. Come si è visto, di recente, in Emilia-Romagna. Dove Bonaccini ha vinto anche perché, come ha osservato Bossi, «è stato bravo ad agganciarsi per tempo al treno di Lombardia e Veneto, verso il regionalismo differenziato». Mentre Salvini ha anteposto se stesso alle ragioni della società. Ha lasciato il federalismo sullo sfondo. Ha diviso la Lega, anche per definizione, fra il Nord e la propria immagine, Ma, in questo modo, ha dimenticato che il “tempo dei capi” ha una durata più breve rispetto alla “storia del territorio”.