Alle sei del pomeriggio negli uffici del presidente del Consiglio il caso Banca d’Italia appare più che mai una questione irrisolta. Filtra solo che il premier Giuseppe Conte starebbe ricevendo «enormi pressioni istituzionali», ma che per ora la linea «assolutamente non cambia, non si torna indietro». Insomma la sedia vuota, quella del vice direttore di via Nazionale, resterà tale sia oggi, quando si riunirà per la prima volta il direttorio dell’istituto senza Luigi Federico Signorini, sia nei prossimi giorni e forse settimane.
L’arroccamento del governo almeno in apparenza prosegue, anche se del problema si è discusso ancora ieri sera a Palazzo Chigi. Certo dalla Banca d’Italia non arrivano segnali di cedimento e il governatore viene descritto come profondamente irritato: «Una cosa simile non si era mai vista» avrebbe commentato Ignazio Visco, dopo che giovedì notte il Consiglio dei ministri aveva omesso di mandare al presidente della Repubblica il parere, per il decreto di nomina, sulla conferma di Signorini nel direttorio della Banca d’Italia. Di certo l’istituto centrale in questo momento non recede da una designazione che gli spetta, con parere non vincolante del governo, con potere di conferma del Quirinale e una cornice di legge europea sull’indipendenza della banca centrale.
È in questo quadrilatero istituzionale che si giocherà la partita da ora in poi e tutto induce a pensare che, quale che sia la levata di scudi in questi giorni, protagonista ne sarà il premier Conte. Nella maggioranza l’attitudine verso la Banca d’Italia resta ambivalente, più che del tutto ostile. Dieci giorni fa Marco Valli e Marco Zanni, eurodeputati rispettivamente dei 5 Stelle e della Lega, hanno presentato un’interrogazione alla Banca centrale europea sulla proprietà legale delle 2.452 tonnellate d’oro della Banca d’Italia. Il loro sottinteso è che di quelle risorse debba poter disporre il governo, in quanto eletto dagli italiani, magari anche per finanziare le proprie politiche. Passata la campagna elettorale per le regionali in Abruzzo però su questo punto, così come sull’ipotesi di rimozione dei vertici di Banca d’Italia, il vicepremier leghista Matteo Salvini si è dimostrato più cauto: «Qualcosa va cambiato in Banca d’Italia — ha detto — non necessariamente qualcuno»; e ancora: «L’oro è degli italiani, ma per quanto mi riguarda resta lì», ossia nella banca centrale.
Dunque la Lega ora allenta la sfida, forse perché capisce che un nuovo fronte di tensione non può che aggravare l’incertezza e la recessione in Italia. I 5 Stelle a Palazzo Chigi invece resistono. Il risultato è che a Conte spetta la responsabilità di sbrogliare la matassa. Il premier sa che anche un parere negativo inviato dal Consiglio dei ministri al Quirinale su Signorini sbloccherebbe l’impasse, perché il capo dello Stato confermerebbe il banchiere centrale. Ma Conte capisce anche che per il Consiglio dei ministri omettere di fornire pareri sulle nomine nel direttorio, per paralizzare tutto, violerebbe le leggi italiane europee. E poiché lui stesso sarebbe chiamato a risponderne di fronte alle istituzioni del Paese e dell’Unione Europea, il tentativo di trovare un compromesso non può più attendere molto.