Lo potremmo etichettare come un problema di “fisica politica”. Fino a quali dimensioni elettorali può espandersi il “corpo politico” Lega? E fino a dove può esercitare la sua forza gravitazionale verso elettori e gruppi sociali per attrarli nella propria orbita di consensi?Il quesito si è fatto centrale perché i sondaggi sulle preferenze di voto hanno già segnalato il sorpasso del partito di Salvini ai danni del partner del «contratto». Una sorta di cavalcata trionfale, considerando che le politiche del 4 marzo scorso avevano fotografato dei rapporti di forza che vedevano il Movimento 5 Stelle pesare quasi il doppio quanto a voti. Dopo il lunghissimo travaglio della formazione del governo, però, la formazione politica trasformata dal suo segretario in un partito nazionale (e nazionalista) di destra sovranista (e xenofoba) ha intrapreso un’avanzata praticamente irresistibile, e ha sopravanzato i pentastellati nelle consultazioni amministrative. Effetto dell’ipermediaticità di colui che è capo politico e, al medesimo tempo, vicepresidente del Consiglio e ministro dell’Interno, e sta conducendo una campagna elettorale permanente (con le conseguenti problematicità e criticità sotto il profilo del rigore istituzionale), e della capacità della Lega di imporre senza sosta la sua agenda politica e di governo.
La crescita, stando alle rilevazioni, di 10-12 punti nel corso degli ultimi 3 mesi certifica una volta di più il trend divenuto ormai strutturale anche in Italia della volatilità elettorale. Salvini, che non ha formalmente mai rotto la coalizione di centrodestra – egemonizzata e convertita in un destracentro su posizioni da Paesi del Gruppo di Visegrad (che cita, infatti, a ogni piè sospinto come alleati sul fronte dell’Unione europea) – sta praticamente svuotando Forza Italia, entrata in una crisi strutturale (e, a meno di colpi di scena, irreversibile).Un altro (ampio) settore da cui la Lega “di lotta anche quando è al governo” può attingere è rappresentato dall’elettorato grillino, quello più arrabbiato, rancoroso e protestatario per il quale lo scivolamento dalle geometrie variabili del M5S alla linea dura e pura del salvinismo risulterebbe (quasi) automatico. Perché la Lega balla (e gioca), giustappunto, da sola; e l’alleanza con i pentastellati si rivela, in tutta evidenza, di natura puramente tattica (nonostante vi siano alcuni punti di fondo, riconducibili all’armamentario ideologico del populismo, in comune).
Salvini può quindi contare su ulteriori margini di incremento dei voti, ma – una volta potenzialmente riassorbito l’intero bacino di una destra più radicalizzata (e dalla quale fuoriusciranno necessariamente, anche se risultano sempre più sparuti, gli elettori di orientamento conservatore moderato) – raggiungerà un (sebbene al momento ancora di là da venire) limite fisiologico di crescita. E, quando dovrà confrontarsi con il (molto probabile) gap tra gli annunci e le realizzazioni, si troverà a dover fronteggiare necessariamente la minaccia di una volatilità di ritorno dell’elettorato. Dunque, crescita esponenziale ma, per riprendere una categoria della cultura ambientalista, non infinita né illimitata.Al leader leghista, però, l’arma di una riforma elettorale per ritornare al maggioritario (su cui, in questo panorama di destrutturazione dei competitor, potrebbe agevolmente convergere il M5S). E, in ogni caso, gli rimarrà uno dei sempreverdi del repertorio populista: la strategia della moltiplicazione dei nemici, che non contempla unicamente i tanti “esterni” (dall’Unione europea alle ong), ma prevede anche la possibilità di qualcuno “interno” (e il primo candidato appare il ministro dell’Economia Giovanni Tria, “reo” di avere dichiarato che serve una certa continuità con le politiche del predecessore Pier Carlo Padoan). Insomma, «tanti nemici, tanto onore».