Il presidente Donald Trump bombarda la Siria, si scontra con la Russia ma il vero problema degli Usa è con la Cina. Ecco perché dazi e bombe sembrano due facce della stessa medaglia, se viste dagli occhi degli imprenditori e degli analisti economici. L’idea, soprattutto per questi ultimi, è che dazi e bombe denuncino la crisi del multilateralismo, di cui il Wto è per il presidente Usa l’espressione più irritante. E non solo a seguito dell’insoddisfazione americana provocata da una lunga serie di arbitrati in seno al World Trade Organization conclusi con giudizi sfavorevoli. Mettiamola così: dietro l’isterismo protezionistico di Trump ci sono numeri, timori e forse troppo terreno da recuperare, tanto nel commercio quanto in politica estera.
Andrea Goldstein è senior economist all’Ocse e offre un’interpretazione sulla politica commerciale a stelle e strisce: «Nell’agenda del presidente Usa c’è il proposito di imporre le proprie regole a tutti. Forse Trump non ha tutti i torti a puntare il dito contro la Cina. Ma in ogni caso i cinesi, all’egemonia americana, dicono “no”».
Dal teatro Olimpico giungono numerosi input dall’incontro “L’incognita Trump e la guerra dei dazi”. Ma seppur con sfumature diverse Goldstein, Gianpietro Benedetti e Alberto Bombassei concordano su un elemento tutt’altro che secondario: «C’è tensione, certo, ma parlare di guerra è prematuro». E questo al termine di una settimana che ha registrato aperture da parte della Cina.
La chiave di lettura del dibattito moderato da Danilo Taino del Corriere della Sera potrebbe essere proprio un’osservazione di Goldstein, che giunge a conclusione di una riflessione sulla crisi della pax americana e del liberalismo. «Spesso si tende a cercare una soluzione semplice a un problema complesso – dice -. Questa è una caratteristica dei movimenti populistici e i dazi, per dire, sono un buon esempio. A farne le spese, però, sono i Paesi e le imprese più vulnerabili». Al solo pensiero, è facile immaginare l’intensità dei malumori in una terra di “multinazionali tascabili” come il Vicentino.
Va da sé che la riflessione proposta da due imprenditori di peso come Benedetti, presidente del Danieli Group, e Bombassei, presidente della Brembo, non si fermi al “no” ai dazi. «In vent’anni la Cina è passata dalla povertà alla produzione di bassa qualità a prodotti di alto valore aggiunto – argomenta Benedetti -. I cinesi sono motivati. Gli americani si sono accorti di questa mutazione che lede la loro leadership e hanno constatato la loro decadenza in molti settori». «Trump ha scorto la possibilità che la Cina possa diventare l’unica superpotenza – continua -. Certo, lo stile del presidente è discutibile, ma dietro c’è una filosofia».
La partita, naturalmente, si gioca su più tavoli. «Gli imprenditori sono preoccupati – sostiene Bombassei – ma preoccupa anche l’Unione Europea che rimane alla finestra. Intendiamoci: l’Europa può solo perdere da uno scontro commerciale di questo genere». «Trump va interpretato prima, e preso con prudenza poi – sorride il numero uno della Brembo -. La sua arroganza può essere giustificata soltanto nell’idea di equilibrare la bilancia commerciale. Su un fatto, però, possiamo essere sicuri: il baricentro industriale si è spostato in Asia». Fermo restando, osservano gran parte degli addetti ai lavori, che alle spalle dell’aggressività commerciale e industriale cinese ci sono almeno due decenni di “umiltà orientale” e di investimenti miliardari su formazione scolastica e universitaria.
*Il Giornale di Vicenza, 15 aprile 2018