Nella prima metà del 2019 gli investimenti diretti esteri sono scesi del 20% rispetto al secondo semestre del 2018 (a 572 miliardi di dollari). Quelli realizzati da gruppi economici cinesi negli Stati Uniti si sono praticamente prosciugati, precipitando a meno di 1,2 miliardi di dollari. Meno di tre anni prima, tra luglio e dicembre del 2016, avevano raggiunto il picco record di 16 miliardi di dollari.I dati diffusi dall’Ocse sui flussi degli investimenti diretti esteri fanno da specchio alla frenata del commercio internazionale e restituiscono, una volta di più, l’immagine di una globalizzazione in pieno riflusso, con le catene globali dei fornitori (global value chain) messe in discussione dal ritorno di fiamma del protezionismo. A inizio ottobre, la World Trade Organization ha tagliato le stime di crescita degli scambi mondiali all’1,2% per il 2019, meno della metà delle già deboli previsioni fatte ad aprile (2,6%).
A colpi di dazi e proclami, si è drasticamente ridotto l’interscambio tra Cina e Stati Uniti, le superpotenze da quasi due anni impegnate in quella guerra commerciale che, secondo il Fondo monetario internazionale, sta frenando la crescita mondiale. Ad agosto, l’interscambio tra i due Paesi si è contratto del 10% su base annua. Il livello dei dazi medi che i due giganti si applicano a vicenda è salito ormai al 21%: all’inizio del 2018 era al 3,1% per gli Usa e all’8% per la Cina (secondo i dati del Peterson Institute for International Economics). Washington e Pechino stanno negoziando un’intesa per fermare l’escalation, ma il prossimo mese la Casa Bianca potrebbe spostare il tiro sull’Europa, sulla quale ancora pende la minaccia di tariffe sull’industria dell’auto.
L’ultimo rapporto dell’Ocse ribadisce quanto ormai è stato ampiamente registrato dagli uffici studi di istituti internazionali, banche, think tank. Le tensioni commerciali, insieme a quelle sugli standard di sicurezza tecnologici, generano incertezza e l’incertezza spinge le imprese a rimandare le decisioni di investimento. I gruppi cinesi, si legge nel rapporto dell’Ocse, non solo «stanno investendo meno» negli Stati Uniti, ma stanno anche smobilitando alcuni degli investimenti fatti. Secondo i dati di Dealogic, i disinvestimenti dei gruppi cinesi negli Stati Uniti, dove sono oramai visti come una specie di invasori e dove è fortemente aumentata l’attività di scrutinio e interdizione delle autorità di vigilanza, sono saliti a oltre 26 miliardi di dollari a settembre, dagli 8 miliardi dell’intero 2018. Nel complesso, i gruppi cinesi hanno ceduto investimenti per 40 miliardi di dollari nel mondo, anche a causa delle difficoltà endogene del Paese.
La Germania attraversa a sua volta una fase di forte frenata. Tuttavia, nella prima metà del 2019 i flussi di investimenti diretti in entrata sono aumentati a 22 miliardi di dollari. Nel semestre precedente, il dato si era fermato a un miliardo. Malgrado l’elevata volatilità che caratterizza gli investimenti diretti esteri, il dato tedesco spicca. Anche perché i flussi in ingresso nell’area Ocse sono scesi del 43% (con un incremento del 2% per quelli in uscita). I flussi in arrivo nell’Unione Europea sono addirittura precipitati del 62%, con investimenti in calo in 19 dei 28 Stati membri. Il calo, per gli Stati Uniti, è stato di oltre il 25%.
Olanda e Regno Unito (che paga il prezzo della Brexit) hanno registrato forti frenate dei flussi in ingresso, mentre Belgio, Irlanda e Spagna hanno accusato disinvestimenti. L’Italia, secondo i dati Ocse, ha visto gli investimenti in ingresso scendere da quasi 21 miliardi di dollari del secondo semestre 2018 a meno di 7 nel primo semestre 2019. Nel secondo trimestre, l’Ocse ha addirittura registrato disinvestimenti per 900 milioni di dollari (una fotografia che arriva con molte crisi aperte, a cominciare da quella della Whirpool).
Nella prima metà dell’anno, gli Stati Uniti si sono piazzati in testa alla classifica dei Paesi in grado di attrarre più investimenti diretti esteri, seguiti dalla Cina, che ha visto aumentare i flussi in ingresso del 5%. Dietro di loro, Francia, Brasile e India. L’altra classifica, quella dei Paesi che hanno generato più investimenti in uscita, è invece guidata dal Giappone, seguito da Stati Uniti e Germania.