Perché una mela cade dall’albero anziché galleggiare nello spazio? Be’, è merito – o colpa – della gravità, lo sappiamo tutti. A scuola ci hanno insegnato che è questa forza a tenerci agganciati alla superficie del nostro pianeta, mentre lui ruota su se stesso e intorno al Sole. Ma il nostro corpo la conosceva ben prima che la incontrassimo sui libri di testo: appena venuti al mondo sapevamo già reagire ai suoi stimoli, e di lì a qualche anno abbiamo imparato a gestirla senza nemmeno pensare, magari mentre corriamo giù per le scale. A noi sembra un traguardo da nulla, ma per i robot è ancora un problema quasi insormontabile. Insomma, il nostro rapporto con la gravità dura letteralmente da una vita, ed è anche l’unica interazione fondamentale della fisica di cui siamo coscienti. Tanto da sognare di liberarcene. Eppure, quanto la conosciamo davvero? Sappiamo cosa sia lo spaziotempo, in cosa consista la sua curvatura e come si produca? Siamo pronti ad accettare che il tempo possa accelerare o rallentare a seconda del posto in cui ci troviamo? Sappiamo cosa sono le onde gravitazionali, o come funziona un buco nero? L’astrofisico italiano che ha realizzato per primo, assieme ai colleghi del progetto Event Horizon Telescope, delle immagini fotografiche di un buco nero supermassiccio ci invita a un viaggio per trovare risposta a tutte queste domande, e a molte altre. Ad esempio: com’è possibile fotografare un buco nero se per definizione cattura tutta la luce che lo colpisce?