Si sta avverando la profezia della sociologa Beverly Silver della Johns Hopkins di Baltimora che, intervistata di recente da Sette, sosteneva come la vera traccia che avrebbe lasciato il #metoo alla fine non avrebbe riguardato il mondo delle celebrities quanto le normali lavoratrici. La conclusione del caso che ha visto come imputato Kevin Spacey sembrerebbe confermarlo indirettamente. Il #metoo uscirà forse dalla prime pagine ma nel frattempo ha influenzato positivamente le relazioni di lavoro, ha cambiato i rapporti di forza in materia di molestie sessuali realizzando nei fatti quella che Silver individuava come un’ibridazione tra femminismo e sindacalismo. Su tutt’altro versante un secondo (potente) supporto alle battaglie per la parità viene dalla straordinaria biografia di Ursula von der Leyen, neopresidente della Commissione europea e soprattutto madre di 7 figli. Anche in questo caso ci viene in aiuto la sociologia con il concetto di maternity penalty. Quella legge non scritta per cui anche a una giovane ingegnera al suo primo contratto di lavoro viene data una paga in media inferiore del 7% rispetto al suo collega maschio. È una penalizzazione perché le viene fatta pagare in anticipo l’eventualità che possa far figli e quindi interrompere un giorno la continuità del rapporto di lavoro che sta per legarla alla sua nuova azienda. Ma se von der Leyen è riuscita nonostante ben 7 gravidanze ad avere la continuità necessaria per scalare Bruxelles perché una giovane laureata in ingegneria non ha diritto alla stessa paga?