Qualsiasi romanzo contiene un saggio. Può essere più o meno evidente. Quasi mai dichiarato. Qualsiasi autore attraverso il suo scritto esprime il suo pensiero sul passato, nel caso di un libro che ha una matrice storica; sul presente, se affronta la contemporaneità; sul futuro, se ha visioni distopiche. “La fine del tempo”, di Guido Maria Brera, è un romanzo che, in modo fluido, si insinua tra la storia del prof. Philips Wade e le trame del “Quantitative Easing”. Brera di professione fa il finanziere e in questo testo ha riversato la sua visione sulla finanza mettendo in luce non solo le evidenti storture del turbocapitalismo, ma anche gli effetti del “Whatever it takes” che Mario Draghi esplicitò nel luglio del 2012. Frase che resterà nella storia. Evocata e applicata in questi mesi. Se Brera avesse scritto un saggio su questi temi, sarebbe stato letto da qualche centinaia di lettori. Molti del settore, ben pochi da quelli avvezzi alla finanza. La scelta narrativa gli apre le porte ad un pubblico più ampio, grazie anche al successo del suo precedente libro “I Diavoli”. I concetti sono limpidi, a prova di inesperto. Una scelta che molti dovrebbero compiere per rendere più addomesticabile alcune teorie che rischiano di essere confinate in stretti circuiti professionali. Il racconto è sempre più avvincente di una teoria. Certo, in un saggio l’autore segna il confine ben preciso tra ciò che pensa e ciò che scrive. In un romanzo il limite è molto debole e può essere sempre disconosciuto dall’autore. “La fine del tempo” è un romanzo conficcato dentro al nostro tempo. Di grande attualità, anche nella nuova bolla che stiamo vivendo tra le borse che salgono e i PIL che scendono. Un percorso che muove tra due città, Londra e Roma, strette da una connessione difficile da immaginare e che, invece, trova un suo perché. Brera riscopre vecchi amori scolastici, tra cui l’indimenticabile prof. Federico Caffè, e nel mezzo azzarda qualche “profezia”. Una che si è avverata proprio a marzo scorso (il libro è stato chiuso nel luglio del 2019), non certo quella del covid-19.