Stamattina la Commissione Ue non pubblicherà previsioni sulla direzione di marcia del deficit o del debito dei diversi Paesi europei. Non lo farà neanche sull’Italia e non ci sarà dunque né una bocciatura né una promozione degli assetti di bilancio del Paese, ormai disceso in una recessione da cui non sembra rimbalzare neanche in questo scorcio di 2019.
Però l’esecutivo europeo pubblicherà, questo sì, previsioni di crescita e di inflazione per l’Italia e per gli altri Paesi. Esse diranno molto di ciò che si pensa a Bruxelles dello stato della finanza pubblica e dell’evoluzione del debito per il governo di Roma. L’implicazione di fondo è che da oggi inizierà a profilarsi ciò che a Bruxelles e in Italia tutti sapevano già: l’accordo di dicembre che ha evitato una procedura per deficit eccessivo non ha risolto i problemi, ha solo rinviato la resa dei conti a dopo le elezioni europee di maggio.
Per il momento, nessuno nell’area euro ha voglia di risvegliare le tensioni attorno alla finanza pubblica dell’Italia. Quasi nessuno, per la precisione, meno l’olandese Wopke Hoekstra: anche all’ultima riunione a Bruxelles con i suoi colleghi dell’area euro, il ministro delle Finanze dell’Aia ha fatto il possibile per rimettere sul tavolo con foga il tema del debito pubblico italiano; nessuno quel giorno ha fatto notare all’olandese l’incoerenza che c’è nell’accusare ossessivamente gli altri Paesi per il loro deficit e intanto sottrarre loro surrettiziamente entrate fiscali, permettendo a centinaia di grandi imprese di eludere le tasse tramite accordi ad hoc e sedi posticce collocate nei Paesi Bassi.
Salvo Hoekstra, tuttavia, nessuno in Europa spinge per riaprire la partita italiana subito. Nemmeno la Germania. Nessuno si illude però che essa non sia destinata a ripartire presto, probabilmente già da giugno in poi: le previsioni di crescita che presenterà oggi la Commissione europea lasciano pochi dubbi in proposito. Che Bruxelles adesso veda una crescita in Italia dello 0,2% per quest’anno e un’inflazione debole – stime ragionevoli, in questa fase – non comporta solo che il debito pubblico quest’anno riprenda a salire. La debolezza dell’economia farà sì anche che la fragilità del deficit emerga in modo più visibile, specie in vista del 2020.
Con una crescita dello 0,2%, nel 2019 il disavanzo dovrebbe salire probabilmente intorno al 2,2% del prodotto lordo o comunque poco sopra l’obiettivo del 2%. In parte il contenimento nel breve termine sarà possibile grazie ai margini che i funzionari del ministero dell’Economia si sono ritagliati nell’esecuzione del bilancio. In vista dell’anno prossimo però i nodi verranno al pettine. Il deficit tenderà oltre il 3% del Pil già in partenza, per tre motivi che si aggiungono l’uno all’altro: un disavanzo che per inerzia va all’1,8%; l’intenzione annunciata dal governo di non far scattare gli aumenti dell’Iva per 1,2% del Pil in teoria previsti dalle clausole di salvaguardia; il lieve ma visibile slittamento dei conti per effetto di una crescita più bassa di quanto avesse previsto il governo. Questi tre elementi sommati fanno sì che, senza interventi, il deficit pubblico l’anno prossimo esploda appunto oltre il 3% del Pil. L’Italia tornerà dunque a rischiare una procedura europea già in autunno e nuove tensioni sui mercati.
Chiunque governerà dall’estate in poi sarà dunque di fronte a una montagna da scalare: annunciare fra giugno e settembre prossimi e mettere in finanziaria in ottobre oltre venti miliardi di stretta di bilancio. È quanto serve semplicemente per far sì che il deficit del 2020 si stabilizzi e non superi il 2% del Pil. Il rischio di una manovra depressiva mentre l’economia è debole appare quindi dietro l’angolo, a maggior ragione perché l’alternativa si profila altrettanto scomoda: conti in netto deterioramento e nuovo stress che dai titoli di Stato si propaga sull’intera economia italiana.
A dicembre l’Italia aveva preso tempo. Ma come spesso accade in questi casi, il problema è destinato a ripresentarsi più intrattabile di prima come una mina sul percorso del governo.