Chiamiamola Alta Incapacità. Sulla tratta ferroviaria italiana del corridoio 5 Lisbona-Kiev, l’ex Tav ha abdicato e non da oggi al nome e al concetto di Alta Velocità, vittima della stucchevole pratica del rimando continuo.
Sono passati 34 anni da quell’ottobre 1984 in cui venne tenuta a battesimo la società Italfer Sis.Tav; 31 dall’approvazione in Parlamento della legge 80. Questa voragine temporale ha inghiottito tonnellate di dibattiti e polemiche, vagonate di soldi, cinque trattati internazionali e una formale ratifica delle Camere; ma da ovest a est, da Torino a Trieste, la guerra del binario continua a imperversare. E proprio quando sembrava spegnersi, torna a riaccendersi con la scomunica dei Cinque Stelle: rischiando di far deragliare un governo che ha appena tre mesi di vita.
Questa non è una partita di calcio, con lo scontro tra curva nord e curva sud: non è con i criteri del tifo esasperato che si può stabilire se la Tav sia utile o no. La scelta tocca (toccava…) alla politica: il cui compito è discutere con tutti, per poi decidere il da farsi, giusto o sbagliato che sia, prendendosi le relative responsabilità. Ma questo deve avvenire in un arco di tempo ragionevole, non nello spazio di una generazione; e soprattutto, non può basarsi su un continuo fa-e-disfa, che lungi dal risolvere i problemi li aggrava, oltre a sprecare le risorse pubbliche e danneggiare gli interessi privati. Intanto abbiamo già perso il treno che conta con l’Europa: se e quando la Tav verrà completata, diventerà una tratta periferica e marginale. Perché l’economia globale non aspetta né i politici mediocri, né i burocrati coriacei: il tempo lo misura con l’orologio, non con la clessidra.
Entrando a Nordest, questa sgangherata vicenda riesce perfino a peggiorare, ispirandosi alla vecchia filastrocca veneta della storia del sior Intento (“che dura tanto tempo, che mai no se destriga”). Dell’intero asse padano, è la tratta geologicamente meno complicata; eppure si è riusciti a renderla la più farsesca. Proprio in questi giorni, a Vicenza si riapre per l’ennesima volta la trentennale disputa sul tracciato; a nord di Venezia, c’è stato chi ha provato a suggerire un percorso a servizio di chi voleva andare a fare il bagno a Jesolo; si è arrivati a ipotizzare quattro fermate in un centinaio di chilometri (Verona, Vicenza, Padova, Mestre), singolare variante dell’alta velocità per vecchie littorine; al momento sono attrezzati solo i 28 inutili chilometri tra Padova e Mestre, inaugurati in pompa magna oltre dieci anni fa. Ora l’ennesimo disco rosso sollevato da Roma, con il codazzo di polemiche che già si sta tirando dietro, non potrà che produrre il peggiore degli effetti: dirottare la vicenda su un binario morto. Avviso per i viaggiatori: scusate il ritardo, ma nessuna illusione. Non sarete soddisfatti, tanto meno rimborsati.