Con la due giorni Confcommercio di Cernobbio è iniziato anche per le forze sociali il dopo elezioni. E già dalle prime battute si intuisce che non sarà una passeggiata. C’è da ridefinire il ruolo dei cosiddetti corpi intermedi in uno scenario in cui le forze uscite vittoriose dalle urne paiono avere l’intenzione di coltivare un rapporto diretto con «il popolo», saltando ogni forma di intermediazione.
Non sarà facile quindi riscrivere il perimetro dello «spazio sociale», ci sarà bisogno di nuova elaborazione politico-culturale e poi di scelte programmatiche conseguenti. A questa prova decisiva le forze sociali arrivano non in perfetta salute, per usare un eufemismo. Presentano, infatti, strutture in ritardo con i tempi e segnate dal mancato ricambio dei gruppi dirigenti. Si muovono sovente con la ripetizione di vecchi riti e non riescono a reinterrogarsi sul senso profondo della loro azione. Ci sarà modo di tornare sull’argomento quando avremo un quadro politico meno nebuloso, nell’attesa ieri la Confcommercio ha provato a misurarsi con un altro dei temi chiave del dopo 4 marzo: il Sud e il «voto di vendetta», per dirla con le parole dell’economista Gianfranco Viesti.
Ma se è parso unanime il giudizio sulla rivolta dell’elettorato più difficile è risultato il tentativo di abbozzare risposte comuni. Mentre è tutto sommato facile segnalare i vizi del Meridione riassumendoli nella parola «assistenzialismo», ancora da abbozzare è la mappa delle realtà economicamente sane del Sud da cui poter ripartire. Un contributo verrà da una nuova classificazione dei sistemi locali operata dall’Istat e annunciata ieri dal presidente Giorgio Alleva. Quanto alle policy il più drastico è stato l’economista Nicola Rossi: a produttività più bassa devono corrispondere salari più bassi.