Ci sono quelli della Bekaert di Figline Valdarno, che pensano di creare una cooperativa e far ripartire da soli la fabbrica di fili metallici abbandonata dalla multinazionale belga. Oppure quelli della Sider Alloys di Portovesme, i pochi rientrati fino ad ora nello stabilimento dell’alluminio ancora fermo: si autotassano per pagare il viaggio a Roma dei colleghi in attesa della riassunzione, che giovedì manifesteranno sotto il ministero dello Sviluppo Economico.
Gli operai provano a reagire alla crisi dell’industria italiana.
Disillusi dalle promesse e dalle riforme (Jobs act in primis) dei governi che si sono succeduti negli ultimi anni, non si rassegnano al declino del loro lavoro. Ma è una strada in ripida salita, come dimostrano i numeri sulla cassa integrazione della prima parte del 2019: dopo la progressiva flessione iniziata nel 2014, punto acuto della crisi, nei primi tre mesi di quest’anno il ricorso all’ammortizzatore sociale ha segnato una preoccupante inversione di tendenza. La crescita è stata del 6,07% sul primo trimestre 2018, con 65,9 milioni di ore.
Calcolando questo totale in termini di posti di lavoro, si determina un calo di 128.000 unità, pari a 8,2 milioni di giornate lavorative in meno e a una perdita complessiva di reddito netto superiore a 272 milioni di euro. Secondo le elaborazioni del centro studi Lavoro& Welfare, il grosso è concentrato nella cassa integrazione straordinaria pari al 70% del totale delle ore concesse: «E questo conferma il persistere di una forte criticità nella struttura produttiva — si legge nella ricerca — sulla quale continuano a pesare gli aspetti strutturali e congiunturali della crisi, e risultano anche minori e quasi inesistenti gli interventi di risanamento. Il livello medio di ricorso alla Cig, riferito ad anno mobile, resta oltre i 18 milioni di ore mese, troppo alto e lontano dalla normalità produttiva ante-2008».
Le regioni dove la Cassa aumenta di più sono la Liguria (+160,17%), il Lazio (+115,62%), il Molise (+99,31%), la Puglia (+94,15%), l’Abruzzo (+38,60%), la Sardegna (+30,55%). Quanto ai settori, spiccano il metallurgico (+354,59%), trasporti e comunicazioni (+183,89%), il meccanico (+7,79%), mentre registrano cali il commercio (-65,02%) e l’edilizia (-4,85%).
Ovviamente, l’andamento va soppesato anche in termini di rilevanza del singolo settore e, in questo senso, il dato che fa più riflettere è quello del comparto auto, come conferma Michele De Palma della Fiom: «In Italia è a rischio tutta la filiera dell’automotive, ma si continua a far finta di nulla.
Paghiamo il fatto di essere un Paese con un unico produttore, la Fca, e così scontiamo più di altri quanto succede nei mercati, nella tecnologie e nelle dinamiche protezionistiche. La Fca colleziona risultati finanziari, però intanto in metà degli stabilimenti ci sono esuberi, la componentistica è in ginocchio e dopo anni di cassa integrazione i lavoratori vivono un problema salariale». Un quadro che De Palma allarga all’intera industria italiana: «Le fabbriche continuano a chiudere perché il mantra di questi anni è stato quello delle privatizzazioni, delle deregolamentazioni, del laissez faire. L’attuale governo aveva promesso un cambiamento, ma non è stato così».
Secondo l’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, per «capire realmente l’andamento dell’economia, vanno considerati i numeri di lungo periodo, perché i semplici dati di un mese possono essere smentiti in positivo o in negativo il mese successivo.
Ecco perché l’inversione di tendenza di inizio anno sulla cassa integrazione è un segnale d’allarme». E in questo senso, tornando alle elaborazioni di L& W, è molto indicativo che la quota maggiore (quasi esclusiva) delle ore di cassa integrazione speciale riguardi i contratti di solidarietà: «Se la ripresa economica e produttiva si ferma, come sembra — sottolinea l’ufficio studi — alla scadenza del periodo concesso di Cigs i lavoratori coinvolti si ritroveranno disoccupati».