Il rallentamento dell’economia italiana segnalata negli indicatori anticipatori per i mesi primaverili si è concretizzato ieri nei freddi numeri della stima flash Istat. La crescita del Pil si è fermata su un +0,2% rispetto al +0,3% del trimestre precedente e un +1,1% in termini tendenziali (contro il +1,4%), mentre la variazione acquisita per l’anno sarebbe ora pari a +0,9%.
La frenata è determinata dal forte calo della domanda estera netta, certificato nei dati di maggio sull’export (-1,9% il calo congiunturale che fa seguito al buco del 2,1% del primo trimestre). Sul lato dell’offerta, i cui aggregati sono considerati più solidi per le stime preliminari del Pil calcolato come somma del valore aggiunto dei settori, la variazione congiunutale viene indicata come una sintesi del calo dell’agricoltura e dell’aumento dell’industria e dei servizi (venerdì verranno pubblicati i dati della produzione industriale di giugno). Gli analisti del nostro Istituto nazionale di statistica segnalano che l’incremento del Pil registrato tra aprile e giugno risulta inferiore a quello dei sei trimestri precedenti. E se la durata dell’attuale fase di espansione dell’economia italiana raggiunge ora i 16 trimestri, con una crescita complessiva del 4,5%, il livello del Pil è ancora inferiore dello 0,7% rispetto al picco del secondo trimestre 2011 e del 5,4% a confronto con il massimo storico del primo trimestre del 2008.
Anche le altre economia dell’area euro, che pure hanno da tempo riguadagnato e superato i livelli pre-crisi, stanno subendo un netto rallentamento. L’Instituto Nacional de Estadística (Ine) spagnolo ha segnalato ieri una crescita congiunturale dello 0,6% nel secondo trimestre e del 2,7% su anno (contro il +0,7 e +3% del trimestre precedente) trainata dalla domanda interna (+2,9%), mentre la domanda estera avrebbe pesato in negativo per lo 0,4%. Venerdì l’Insse aveva segnalato una stagnazione dell’economia della Francia (+0,2% tra aprile e giugno) mentre ieri Eurostat nella stima flash sull’eurozona e l’Ue28 ha indicato, rispettivamente, una crescita dello 0,3% e dello 0,4% rispetto al trimestre precedente, mentre nei primi novanta giorni dell’anno il Pil era salito dello 0,4% sia nella zona euro, che nella Ue-28. Su base annua, l’aumento è ora del 2,1% nella zona euro e del 2,2% nella Ue-28 (contro il 2,5 e il 2,4% dei primi tre mesi).
Tornando all’Italia, il calo di tre decimali secchi del tendenziale (da 1,4% a 1,1%) allontana ancora di più il quadro macro dalle previsioni del vecchio governo, che nel Def di aprile prevedeva un Pil in crescita dell’1,5% in termini reali per il 2018 che, con un deflatore all’1,3% si sarebbe tradotta in un +2,9% nominale. Il deflatore del primo trimestre è stato pari a +0,3% su base congiunturale e +1% tendenziale, si tratta di valori che naturalmente potrebbero aumentare con la spinta inflattiva degli ultimi mesi ma che restano lontani dalle previsioni.
A metà luglio nel suo Bollettino economico, la Banca d’Italia aveva previsto un +0,2% per il secondo trimestre con rischi al ribasso (in effetti il dato Istat della stima flash di ieri è frutto di un arrotondamento rispetto al +0,16% registrato, mentre il +0,3% dei primi tre mesi dell’anno, confermato ieri, era un arrotondamento rispetto al +0,27%). Secondo stime degli analisti di via Nazionale l’attività sarebbe aumentata nel settore dei servizi «pur con un passo moderato» mentre si sarebbe confermata debole nell’industria in senso stretto. Nel settore delle costruzioni il valore aggiunto avrebbe infine ripreso ad espandersi dopo la battuta d’arresto dei primi tre mesi. Per Bankitalia le previsioni di crescita sull’anno restano pari all’1,3%. «L’economia italiana decelera da inizio 2018 così come quella dell’area euro. E gli indicatori congiunturali più recenti inducono a ritenere che il terzo trimestre non farà meglio» spiega Fedele De Novellis di Ref.Ricerche, che in luglio stimava una crescita tendenziale non superiore all’1,2%, analogamente all’Ufficio parlamentare di Bilancio. «Il rallentamento del secondo trimestre, unito al calo di 49mila occupati a giugno, delineano un mese di giugno coperto di nubi» ha sottolineato in una nota Lucio Poma, responsabile scientifico industria e innovazione di Nomisma. «A preoccupare – secondo Poma – sono in particolare il calo del Pil in termini tendenziali ed il calo dei dipendenti permanenti, che su base annua perdono 83mila unità a fronte di una crescita di 394mila unità dei lavoratori a termine». Secondo Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio conti pubblici, «non si andrà oltre una crescita dell’1-1,1%» ma bisogna evitare logiche tipo «cresciamo poco allora aumentiamo la spesa e riduciamo le tasse in deficit». Riguardo ai vincoli Ue, invece, ha aggiunto: «Se cresciamo meno ci viene chiesto anche meno».