Con una variazione un po’ più leggera di quanto si aspettavano analisti e mercati, l’economia nazionale chiude l’ultimo trimestre del 2017 su un Pil in crescita congiunturale dello 0,3% e dell’1,6% tendenziale. Si tratta della performance più bassa dell’Unione, se letta sulle tavole Eurostat pubblicate ieri in contemporanea con la stima preliminare Istat. Solo il Regno Unito ha segnato un tendenziale inferiore di un decimale a quello italiano tra ottobre e dicembre, uscendo però dai primi due trimestri con una crescita attorno al 2% annuale (contro l’1,3-1,5% dell’Italia). Negli ultimi tre mesi dello scorso anno il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,6% negli Stati Uniti, in Francia e in Germania, e dello 0,5% nel Regno Unito.
Secondo la stima flash dell’Istat la crescita corretta dagli effetti del calendario è stata dell’1,5%, mentre la variazione annua stimata sui dati trimestrali grezzi è invece +1,4% (nel 2017 ci sono state due giornate lavorative in meno rispetto al 2016). È questo il dato cui bisogna guardare in attesa della pubblicazione, il 1° marzo, dei conti annuali per il 2017, sapendo che non si possono escludere correzioni. Siamo a un decimale dalla stima che il Governo ha messo nel Nota di aggiornamento al Def, dove per il 2017 si prevedeva una crescita in termini reali dell’1,5%, la stessa dell’ultima previsione della Commissione europea e delle proiezioni pubblicate a gennaio da Bankitalia.
Vale segnalare che una crescita annua dell’1,4%, se confermata, rappresenterebbe la variazione più elevata dal 2010. Ma nonostante il recupero il livello del Pil resterebbe tuttavia ancora al disotto del 5,7% rispetto al picco toccato nel primo trimestre del 2008. Altra indicazione da non trascurare è la variazione acquisita per l’anno in corso: è pari allo 0,5% ed equivale alla crescita annuale che si otterrebbe in presenza di variazioni congiunturali nulle nei restanti trimestri dell’anno. Per il 2018 l’esecutivo Ue prevede una crescita dell’1,5%. Mentre secondo l’indicatore anticipatore Istat pubblicato una settimana fa lo scenario a breve segnala una «minore intensità» della crescita economica.
Tornando alla stima flash di ieri, Istat spiega che l’incremento congiunturale equivale alla sintesi tra una diminuzione del valore aggiunto nel comparto dell’agricoltura e un aumento nell’industria e nei servizi. Più in particolare la decelerazione del valore aggiunto incorpora il calo registrato sul fronte della produzione industriale tra terzo e quarto trimestre. Mentre dal lato della domanda, c’è un contributo positivo sia della componente nazionale (al lordo delle scorte), sia della componente estera netta.
«I dati del Pil confermano che c’è un effetto combinato tra alcuni provvedimenti», come «Jobs act e Industria 4.0» e altri fattori, come «la riattivazione degli investimenti privati» e «una maggiore quota di export» ha osservato il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia.«A nostro avviso – ha aggiunto – occorrerebbe potenziare e accelerare gli investimenti sulla dotazione infrastrutturale. Se partissero anche investimenti sulle infrastrutture, l’acceleratore di crescita sarebbe ancora più elevato». Secondo il presidente degli industriali i dati del Pil sono «un effetto combinato tra alcuni provvedimenti che sono stati realizzati, in particolare Jobs Act e Industria 4.0». Si deve dunque «far prevalere il buonsenso e il pragmatismo» e «non smontare quello che di buono si è fatto nel Paese».
Il 1° marzo Istat darà anche le stime su deficit, debito, pressione fiscale e tutti gli altri parametri relativi ai conti nazionali e, nell’occasione, potrebbe comunicare se verranno incluse nel debito pubblico (o meno) le garanzie concesse dallo Stato per la salvaguardia del sistema bancario. Sui conti pubblici ieri è tornato anche il presidente dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, Giuseppe Pisauro, che ha confermato il rischio di una manovra correttiva sul 2018. «L’Italia – ha spiega Pisauro in un’intervista al Gr1 Rai – ha ottenuto dalla Commissione europea la possibilità di limitarsi ad un aggiustamento dei conti dello 0,3 per cento». Poiché nelle previsioni di autunno di Bruxelles la correzione strutturale ottenuta con l’ultima manovra risulterebbe pari solo a un decimo di punto «allo stato attuale la differenza dello 0,2% equivale a circa tre miliardi e mezzo di euro – ha concluso Pisauro – e questo è l’ordine di grandezza di un’eventuale manovra correttiva».