Per quattro anni, dal 2015, l’Italia non ha potuto usare lo strumento più lineare ed efficace con cui aveva affrontato le crisi bancarie fino ad allora: la mutualità tra istituti di credito. Ieri una sentenza netta della Corte di giustizia europea ha stabilito che quella mutualità, incarnata nel Fondo di tutela dei depositi (Fitd) era legittima e praticabile. « L’intervento su Banca Tercas del Fondo, un consorzio di diritto privato, non costituiva aiuto di Stato » , hanno scritto i giudici, annullando la decisione di fine 2015 della Commissione Ue. La tesi dell’antitrust Ue, che aprendo il dossier aveva stoppato l’azione del Fondo sulla banca di Teramo, era che la presenza di membri della Banca d’Italia alle riunioni del Fitd, e il nulla osta di vigilanza per gli interventi, li equiparasse agli aiuti pubblici. Ma i soldi del Fondo, a chiamata, li mettevano le banche private, e le decisioni le prendeva un cda, in base al principio per cui conviene intervenire prima dei crac, se costa meno che rimborsare i depositanti a cose fatte. La sentenza ha perfino sancito che « la Commissione deve avere sufficiente evidenza per provare che gli aiuti sono di Stato».
Il giudizio, tardivo, getta un’altra luce sui negoziati 2015-2018 tra Roma e Bruxelles sui salvataggi di una dozzina di banche italiane in crisi, con enormi effetti economici e politici. Anche perché dal 2016 la direttiva sul ” bail in” chiede ad azionisti, obbligazionisti dei titoli più a rischio e depositanti oltre 100mila euro di pagare la prima fetta dei deficit bancari. Imbrigliato il Fitd, nel 2015 Tercas fu salvata con la fusione in Popolare di Bari, pagando 535 milioni di ricapitalizzazioni che hanno messo in ginocchio la banca pugliese e i 70mila soci. E sei mesi dopo il Fitd, in campo, non poté intervenire su Banca Marche, Banca Etruria, Ferrara e Chieti, che a novembre 2015 furono affannosamente salvate da un Fondo di risoluzione che pagò 4,5 miliardi (sempre delle banche), ma fece scattare il ” salvataggio privato”, antipasto del bail in che azzerò 788 milioni di subordinati a migliaia di risparmiatori. Lì iniziò anche a salire la rabbia popolare, la rivolta contro il governo Pd guidato da Matteo Renzi, condita dal caso Boschi e amplificata dalla commissione di inchiesta sulle banche. Nell’aprile 2016 il sistema dovette inventarsi poi il Fondo Atlante, altra pezza a colori per non far fallire Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Un esperimento che dissanguò 3,5 miliardi ( più uno di bond) in infinite trattative con Bruxelles e la Bce per rilanciare le banche: poi regalate a Intesa Sanpaolo con lo Stato a pagare 4,8 miliardi di avviamento.
« Questa pronuncia ci ripaga di anni di amarezze e difficoltà » , ha detto il presidente della Bari, Marco Jacobini. « La Commissione ha cancellato dall’ordinamento italiano uno strumento che sarebbe stato utilissimo per le crisi, creando ritardi che acuito le perdite miliardarie in Borsa e fughe di depositi», dice Michele Crisostomo ( studio Rcc), che studia l’azione un azione per i circa 300 milioni di danni stimati dai baresi. « La commissaria Ue Margrethe Vestager con le sue decisioni ha aggravato la crisi bancaria in Italia: farebbe bene a trarne le conclusioni e dimettersi » , tuona il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. «Sentenza storica, che dà ragione a quanto il Parlamento Ue ha sostenuto per anni — dice Roberto Gualtieri, suo presidente della Commissione affari economici — mentre la Commissione diceva di avere le mani legate dalla Corte. Ora si apra una nuova pagina che consenta pieno utilizzo ai fondi di garanzia».