Le elezioni europee del 26 maggio hanno modificato profondamente i pesi all’interno dell’esecutivo gialloverde. Da mesi i sondaggi indicavano la Lega ben al di sopra del 30 per cento e il Movimento 5 Stelle con consensi ridotti a poco più del 20 per cento. L’esito del voto è stato in linea con le attese e così ora il partito di Matteo Salvini è il partner di maggioranza mentre quello di Luigi Di Maio è diventato l’alleato di minoranza nella coalizione di governo.
Salvini ha però spiegato già prima dell’appuntamento elettorale che non vuole «poltrone» ma solo un cambio di passo nell’azione di governo. E questo vale sia per gli investimenti pubblici in infrastrutture che per il taglio delle tasse, due punti del programma politico della Lega cari soprattutto all’elettorato delle regioni del Nord. Ecco allora — anche alla luce dell’esito delle elezioni regionali piemontesi — ritornare l’idea di una rapida approvazione della Tav (finora lasciata a bagnomaria dal ministro pentastellato Danilo Toninelli) ed ecco anche l’emendamento al decreto Crescita contenente la sospensione del codice degli appalti fino a fine 2020. Ed ecco anche il ritorno nell’agenda politica dell’idea di una grande riforma fiscale basata sull’introduzione di un’unica aliquota Irpef — bassa, al 15 o 20 per cento — parzialmente finanziata (per un anno) con un’estensione dei termini della «pace fiscale» e, in modo più permanente, con l’abolizione del bonus 80 euro e una potatura delle agevolazioni fiscali che oggi trasformano in un colabrodo la base imponibile dell’imposta sui redditi delle famiglie. Come succede sempre, per ora mancano i dettagli del piano che, nelle intenzioni del leader della Lega, potrebbe richiedere risorse nette per 30 miliardi, da aggiungersi ai 23 che servono per evitare lo scatto delle clausole di salvaguardia.
In tutto questo fermento un dato certo veramente c’è: fuori dall’Italia, l’Europa e gli investitori non stanno a guardare con le mani in mano. Da Bruxelles è arrivata una breve lettera nella quale si registrano progressi insufficienti nella riduzione del debito pubblico (che nel 2018 è salito anziché diminuire). La lettera di Bruxelles ha fatto esplodere alcune contraddizioni nel governo, tra l’anima più attenta alla sostenibilità dei conti pubblici incarnata dal ministero dell’Economia e quella dei partiti di maggioranza che in una direzione o nell’altra smania per acquisire spazi di manovra fiscale, facendo più deficit per sostenere la spesa sociale e quella infrastrutturale e la riduzione delle imposte. In ogni caso, il ministro Giovanni Tria ha rivendicato la linea di sostanziale responsabilità fiscale adottata dal governo nel corso del 2018 in presenza di una congiuntura sfavorevole e di avverse condizioni meteo che, combinate, configurano ragioni accettabili per spiegare una parte dello sforamento registrato. È da questi paletti e da queste contraddizioni che nei prossimi mesi partirà il negoziato tra Roma e Bruxelles, con incerti margini di manovra. Si vedrà se la replica del ministero dell’Economia sarà sufficiente ad evitare l’apertura di una procedura di infrazione per debito eccessivo nei confronti dell’Italia.
Sui mercati le polemiche dichiarazioni post-elettorali nei confronti dell’Europa provenienti da Matteo Salvini e altri politici leghisti non sono state ben accolte. Lo spread tra Btp e Bund è schizzato oltre 290 punti. In parallelo, in un brutto periodo per tutte le borse, il Ftse Mib — un paniere composto per il 40 per cento da titoli bancari e assicurativi che più di tutti soffrono gli aumenti dello spread — ha perso ben più delle altre borse europee e dell’indice Eurostoxx. È presumibile che gli investitori non apprezzino la prospettiva di rivedere il film in due tempi già proiettato nell’autunno dell’anno scorso durante l’iter di presentazione e approvazione della legge di bilancio 2019. Prima una raffica di ambiziose promesse impossibili da mantenere perché in contrasto con l’algebra e la manifestazione di intenti di confronto serrato con l’Europa. Poi una silenziosa ritirata con l’approvazione di una legge di bilancio più moderata del previsto, inclusiva di un deficit decrescente nel tempo, previsioni di crescita ottimistiche ma non troppo diverse da quelle formulate da istituti di ricerca indipendenti e un debito in attesa di rientro su binari di sostenibilità dal 2020 in poi.
Durante il primo tempo del film, nell’autunno 2018, lo spread salì a 350 punti base e la borsa scese del 17 per cento. Nel secondo tempo (dalla fine di dicembre alla metà di aprile 2019) lo spread è sceso a 250 punti e la borsa risalita ai valori di inizio ottobre 2018. È possibile che il governo (questo o un altro che emerga da elezioni anticipate) riesca a disegnare un percorso di cambiamento consensuale delle regole europee in senso più permissivo, sia pure con alleanze oggi difficili da intravedere. In ogni caso, la legge di bilancio 2020 non potrà prescindere dal quadro delle regole oggi in vigore. Con una difficoltà aggiuntiva rispetto all’autunno 2018, dovuta al cambio di presidenza alla Bce. Non è detto che il prossimo presidente dell’istituto di Francoforte condivida il famoso I’ll do whatever it takes to preserve the euro di Mario Draghi. E così, avvicinandosi la fine dell’era Draghi, un governo del popolo che mette davvero prima gli italiani dovrebbe pensare una finanziaria prudente così da mettere al sicuro il risparmio in un periodo di possibile turbolenza. Sempre che non si voglia davvero dar seguito all’uscita dall’euro, il piano B del presidente della Consob Paolo Savona che in realtà continua ad essere il folle piano A dei consiglieri economici del segretario della Lega oggi vice premier.