Il «metodo Conte» per condurre in porto l’autonomia regionale differenziata — senza danneggiare il Sud, pur premiando il Nord — inizia a produrre i primi effetti. I «frenatori» del processo innescato nel 2017 da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono meno sospettosi: «Stiamo cercando di costruire questo percorso in modo che possa essere usato anche dalle altre Regioni», dice il ministro M5S Riccardo Fraccaro sulla scia di Luigi Di Maio: «L’autonomia deve unire e non dividere». Mentre gli «acceleratori» del processo forse iniziano a capire che non possono avere tutto: «Non avranno tutto, è una trattativa», manda a dire il premier ai governatori Luca Zaia e Attilio Fontana.
E la ministra leghista Erika Stefani (Affari regionali), quando si è trattato di cedere sulla scuola, ha ricordato che «su sanità, ambiente e sviluppo economico sono state accettate le richieste delle Regioni». Ma è il nodo dell’autonomia finanziaria a preoccupare la Lega tanto che Matteo Salvini continua a parlare di «brutto capitolo» perché vede avvicinarsi il nodo più intricato: lo stop scontato alla richiesta delle regioni del Nord di non alimentare più il fondo perequativo, la « cassa centrale», dal quale attingono risorse le Regioni meno ricche. Per questo, Zaia sta dando l’ultimatum: «Conte ha in mano la partita. O la trasforma in una proposta d’intesa o in un fallimento totale». Fontana parla di «cialtronata». Ma, suggeriscono fonti M5S, i governatori lascino stare Conte e se la prendano con i ministri della Lega che quelle intese stanno curando.