A Bruxelles si esulta, a Londra si trepida. Perché se è vero che Gran Bretagna e Unione europea hanno raggiunto un accordo sulla Brexit, è anche vero che la sua approvazione domani, da parte del Parlamento di Westminster, è appesa a un filo. E in caso di bocciatura, tutto potrebbe accadere: a partire dal temuto no deal, il divorzio catastrofico senza accordi il 31 ottobre. Era metà mattina quando da Bruxelles è arrivata la fumata bianca: era stato finalmente raggiunto quello che Boris Johnson ha definito «un grande accordo». Nella realtà, è stato lui a cedere: ha accettato di lasciare l’Irlanda del Nord nell’orbita europea, cosa che in precedenza aveva giurato di non voler mai fare. Ma è stato un sacrificio necessario per poter mantenere l’altra promessa, quella più importante: portare Londra fuori dall’Europa entro la fine di ottobre, senza e senza ma.
Concluso lo psicodramma di una trattativa durata due anni e mezzo, i riflettori si spostano però sul Parlamento britannico: da dove già all’alba di ieri era partito il siluro preventivo degli unionisti protestanti nordirlandesi, i quali non hanno nessuna intenzione di accettare un accordo che di fatto li vedrebbe separati dalla «madrepatria» britannica. Gli unionisti hanno solo dieci deputati a Westminster, ma il loro voto è decisivo: perché Johnson da solo non ha una maggioranza e anche una pattuglia di ultrà conservatori potrebbe essere tentata di spalleggiare i nordirlandesi. Il premier spera nel «soccorso rosso» di qualche laburista pro-Brexit, ma il leader dell’opposizione Jeremy Corbyn è stato categorico: il suo partito voterà contro, chi dissente rischia l’espulsione.
Le giornate di oggi e domani saranno decisive, con il governo impegnato a mettere insieme dei numeri che al momento non ci sono. Johnson è come sempre ottimista: anche perché preferisce non contemplare le alternative. Il premier è stato chiaro: prendere o lasciare, o si approva questo accordo o si esce senza accordi. E l’Europa ieri gli ha fatto da sponda. «Non ci sarà nessuna proroga della Brexit», ha detto il presidente uscente della Commissione, Jean-Claude Juncker: facendo così balenare anche lui lo spettro del no deal.
Ma è davvero così? Se domani a Westminster l’intesa sarà bocciata, Johnson è obbligato per legge a chiedere un rinvio del divorzio. E per quanto gli europei siano stufi della saga della Brexit, ancora riesce difficile immaginare che si vogliano prendere la responsabilità di una rottura traumatica: anche perché, al di là delle parole pronunciate da Juncker, la decisione finale dovranno prenderla i leader dei 27 Paesi Ue. E un eventuale rinvio della Brexit spalancherebbe scenari disparati: dalle probabili elezioni anticipate fino all’eventualità di un secondo referendum, che potrebbe ribaltare il risultato di quello del 2016.