A Bolzano ingegneria del legno, a Siena agribusiness e a Palermo ingegneria della sicurezza. Sono solo alcune delle lauree professionalizzanti che debutteranno a settembre in 14 atenei italiani. Percorsi triennali che puntano a creare figure tecniche richieste dal mercato del lavoro, in stretta collaborazione gli ordini professionali. Un tassello che si affianca, seppure in via sperimentale e con numeri limitati (previsti circa 700 iscritti), a quello dei diplomi superiori rilasciati dagli Its, le 93 superscuole di tecnologia che contano 9mila studenti e operano in partnership con le imprese. In tutto quindi circa 10mila ragazzi coinvolti. Ancora pochi rispetto ai numeri che si registrano all’estero in istituzioni equivalenti: in Germania il rapporto degli iscritti a questi corsi rispetto all’Italia è di 92 volte superiore, in Francia 62, in Spagna 48.
Lauree professionalizzanti e Its rischiano di essere in concorrenza? Per scongiurare questo pericolo e coordinare i due percorsi ci sono stati otto mesi di lavoro comune tra gli Istituti tecnici superiori e la Conferenza dei rettori. Tra le indicazioni emerse, da un lato le lauree triennali professionalizzanti devono tradursi in percorsi definiti a livello nazionale e proporsi come la strada maestra verso l’abilitazione alla professione, dall’altro i super-diplomi rilasciati dagli Its devono essere il culmine di un percorso formativo co-progettato con le imprese, per rispondere ai fabbisogni del territorio, stando al passo con innovazione e trasformazione digitale.
I profili in uscita dalle lauree professionalizzanti sono, ad esempio, geometri che operano per l’ambiente e la riqualificazione degli edifici e periti agrari liberi professionisti. Ma anche manager specializzati nella sicurezza, ingegneri junior e tecnologi di processo, tecnici per la filiera del legno. Nel carnet delle professioni high-skill in uscita dalle super-scuole di tecnologia troviamo, invece, il tecnico per la manutenzione di aeroplani, il controller della filiera agroalimentare e il perito per l’uso efficiente dell’energia. I 445 percorsi a oggi attivati ruotano attorno a sei aree: efficienza energetica, mobilità sostenibile, nuove tecnologie della vita, nuove tecnologie per il made in Italy, tecnologie innovative per i beni e le attività culturali-turismo, tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
«Gli Its sono un esempio evidente delle potenzialità della collaborazione scuola e impresa – commenta Giovanni Brugnoli, vicepresidente per il capitale umano di Confindustria – non solo perché garantiscono oltre l’80% di occupati a un anno dal diploma (il 100% nei territori più virtuosi), ma anche perché le imprese si rafforzano con figure professionali coerenti con l’attività da svolgere in azienda». A livello di didattica, se per negli Its è previsto che almeno il 30% sia dedicato alla pratica, per le lauree professionalizzanti 50-60 crediti riguardano tirocini curriculari. L’Its dura due o tre anni. La laurea tre: il primo anno è di didattica “tradizionale” con docenti universitari; il secondo con laboratori e professori provenienti dall’esterno; il terzo di formazione on the job. Dietro ogni Its c’è una fondazione che coinvolge rappresentati di scuola, università, enti pubblici e mondo produttivo. A oggi ci sono circa 2mila partner tra cui 712 imprese, 412 istituti superiori e 98 dipartimenti universitari. Dietro la laurea c’è invece una convenzione con collegi o ordini professionali.
«Gli Its devono svilupparsi sia sul piano numerico sia nel raccordo con le imprese– sottolinea Brugnoli -. Le lauree professionalizzanti possono essere complementari e non necessariamente alternative agli Its. Da parte di Confindustria c’è un atteggiamento aperto, ma queste lauree non devono diventare lo strumento per mettere in crisi il sistema degli Its. Dobbiamo anzi lavorare per migliorare l’integrazione con le università e coinvolgerle di più nella programmazione didattica degli Its per consentire, ad esempio, anche a chi in 2 anni si diploma in un Its, di completare la sua formazione con un ulteriore anno per ottenere una laurea triennale. Ci sono già università e Its che si stanno muovendo in questo senso: importante è riconoscere le proprie specificità evitando inutili sovrapposizioni».
Il bacino di potenziali studenti, del resto, è ampio, basti pensare che secondo gli ultimi dati del Miur, i diplomati degli istituti tecnici che decidono di proseguire gli studi sono solo un terzo. Senza contare poi coloro che vogliono iscriversi a un albo: per le professioni tecniche la Ue ha stabilito l’obbligo della laurea dal 2020. L’inizio della sperimentazione delle lauree professionalizzanti si preannuncia però in salita. Pochi i posti anche perché gli atenei possono aprire solo un nuovo corso per anno accademico, quindi nel 2018 ben pochi si sono fatti trovare pronti, anche se come ha dichiarato il presidente della Crui Gaetano Manfredi al Sole 24 Ore il 1° febbraio si prevedono «almeno altri 30 corsi» nell’anno accademico 2019/20. In più, per ora, il titolo non è abilitante, ma è necessario sostenere l’esame di Stato per l’accesso all’albo. Infine, non sono previsti nuovi finanziamenti per gli atenei che attivano questi percorsi che dovranno, giocoforza, fare i conti con i propri “vincoli” di bilancio. Per gli Its, invece, la Manovra 2018 ha stanziato 10 milioni in più, 20 nel 2019 e 35 dal 2020 per incrementare offerta e competenze in chiave Industria 4.0.