Ieri a fine giornata, il sorpasso al quale nessuno aveva pensato è avvenuto. Almeno sulle scadenze a breve termine, i titoli di Stato greci hanno iniziato a offrire un rendimento più basso di quelli italiani. Il premio richiesto dagli investitori per il rischio di comprare un Buono ordinario del Tesoro rimborsabile a marzo 2019 era più alto di quello di un governo espulso da anni dal mercato dei capitali come quello di Atene.
Almeno in questo, e almeno per ora, l’Italia è scivolata in ultima posizione nell’area euro. Ieri sera i Bot a nove mesi rendevano lo 0,79% annuo e i loro equivalenti ellenici lo 0,75%. È un sorpasso impensabile anche solo fino a metà maggio, quando uscì il “contratto” di governo M5S-Lega che prevedeva l’opzione di uscita dall’euro e destabilizzò per la prima volta il mercato del debito italiano. Allora il rendimento di quei titoli era negativo (meno 0,40%), considerato ben oltre un punto più affidabile della Grecia.
Ieri sera questa gerarchia era invertita, un evento dall’impatto psicologicamente potente per chi cerca di valutare la credibilità del governo giallo-verde. Per certi aspetti è tutto perfettamente logico nella meccanica dei mercati: chi compra, cerca sempre degli ancoraggi e oggi per le scadenze più ravvicinate quel riferimento è la Grecia; del resto Atene ha un futuro prossimo meno incerto, perché è inquadrata in un programma europeo di assistenza e i grandi partiti ellenici sono esplicitamente impegnati sul futuro del Paese nell’euro e su uno stretto controllo dei conti.
In Italia mancano entrambi questi elementi. Non può aver aiutato ieri un’intervista a “Market News” del senatore della Lega Claudio Borghi per reclamare interventi incondizionati della Banca centrale europea ad hoc sui titoli di Stato per fermare l’instabilità; eppure Borghi appena due settimane fa aveva detto che quei debiti del governo verso la stessa Bce potevano essere tranquillamente cancellati. Né avrà aiutato che Alberto Bagnai, altro senatore anti-euro della Lega e candidato sottosegretario all’Economia, si sia detto pronto a bloccare le aggregazioni fra Banche di credito cooperativo. Il mercato ha capito che dovranno essere i contribuenti futuri a pagare, tramite il debito pubblico, per salvare decine di quei piccoli istituti in dissesto.
Ma la fiducia verso l’Italia oggi sembra destabilizzata in maniera più complessiva, visti i segnali confusi mandati dal governo. Target2, il sistema di pagamenti della zona euro, ieri ha rivelato che in maggio sono usciti dal Paese 38 miliardi di euro. Lo stesso rendimento dei titoli di Stato a 10 anni ormai paga uno spread “tedesco” di oltre cento punti sul Portogallo, di 157 sulla Spagna ed è semmai più vicino — benché inferiore — a quello greco. Ma è soprattutto il crollo dei prezzi di bond a breve, che si muovo in senso opposto ai rendimenti, a rivelare come i timori maggiori riguardino il futuro immediato.
Non lo si direbbe dal silenzio che accompagna queste convulsioni. Ne parla poco l’opposizione. Tacciono i tanti economisti italiani di solito pronti ad accapigliarsi per questioni ben più futili: gli stessi che non hanno speso una parola per il Quirinale, quando la Lega cercava di imporre un anziano professore anti-euro come ministro dell’Economia.