L’Italia della crescita spaccata in due: da una parte le 12 città (con 20 milioni di abitanti nelle aree metropolitane) collegate ogni giorno da 303 treni Tav, dall’altra le città «senza Tav». Nelle regioni più ricche (con reddito pro capite sopra la media) le città dotate di stazione Alta velocità hanno visto crescere il Pil del 10% nel decennio 2008-2018(è il dato provinciale) contro il 3% delle province che hanno una distanza superiore alle due ore da una stazione. Sette punti di differenza. Nelle regioni meno ricche le città con stazione Av sono cresciute dell’8% contro lo 0,4% dei capoluoghi distanti più di due ore. Oltre sette punti e mezzo di differenza. La Tav pesa più del reddito pro capite. A conferma di una relazione fra Tav e Pil il dato intermedio delle città che non hanno stazione Tav ma distano un’ora dallo scalo: 8% nelle regioni ricche, 6% in quelle povere. I 43 milioni di spostamenti Av registrati nel 2017 sono per il 40% nuovi spostamenti. Qui è il dato della crescita. Poi c’è quello ambientale: il 23% del traffico è sottratto all’aereo, il 21% alla strada, il 16% alla ferrovia tradizionale.
I dati arrivano da uno studio realizzato dall’Università Federico II di Napoli e rilanciato in questi giorni da Ennio Cascetta, ordinario di pianificazione dei trasporti nella stessa Università ed ex capo della struttura di missione del ministero delle Infrastrutture (è la struttura che pianifica le opere). Ha riscritto lui il piano delle grandi priorità infrastrutturali durante il ministero di Graziano Delrio, alleggerendo i costi delle opere con la project review e inserendo massicce dosi di manutenzioni farroviarie e stradali. Non a caso Cascetta ha parlato di questo studio sulla Tav mercoledì scorso al convegno Cisl di Firenze sulle infrastrutture e oggi ne parla al Politecnico di Milano in un seminario dedicato ai dieci anni dell’Alta velocità. Rilanciare le infrastrutture sarà uno dei temi chiave della verifica e del nuovo programma del governo Conte, ma oggi nel confronto tra forze politiche tutt’altro che convergenti il tema di cosa fare – quali priorità inserire in un piano straordinario da realizzare subito – è totalmente scomparso, fra goffi tentativi di accelerazione, stop della politica, tempi abnormi, procedure a ostacoli.
Si preferisce deviare sulle semplificazioni procedurali vere o presunte, fra varie edizioni di sblocca cantieri, commissari straordinari e riforme del codice appalti. Il tema tornerà in questi giorni. E a rendere ancora meno chiaro il quadro delle priorità c’è ora il tema della sostenibilità o del «green» in cui sembra confluire qualunque investimento pubblico. Per questo acquisisce maggior valore il discorso di Cascetta. A Firenze ha spiegato il nesso tra sviluppo infrastrutturale e crescita dell’economia. Non un nesso astratto ma un’indicazione utile per decidere concretamente “cosa fare”. Partendo da un’analisi dell’economia italiana: dal 2009 al 2018 il Pil è rimasto praticamente fermo, ma sono crollati gli investimenti pubblici mentre a tirare (e salvare) l’economia italiana sono stati l’export (+42%) e in particolare l’export verso i Paesi Ue il 61% del totale), la produzione industriale (+18,4%) e la crescita del turismo, giunto al 13% del valore del Pil (compreso l’indotto) grazie soprattutto al boom di presenze straniere (+50%). Infine, le città che nel mondo sono ormai il motore della crescita. «Tutte attività fondamentali per il nostro futuro che hanno un bisogno essenziale di infrastrutture», dice Cascetta, che aggiunge: «Abbiamo una finestra temporale entro la quale fare le infrastrutture necessarie per rafforzare la competitività di questi segmenti. Se non la sfruttiamo, la finestra si chiuderà e l’impatto sulla nostra economia sarà drammatico».
Se questo è il quadro vediamo allora quali sono le opere da realizzare prioritariamente entro la finestra. Per favorire le esportazioni delle nostre merci e la centralità dei nostri porti negli scambi marittimi intercontinentali, bisogna completare i 4 corridoi che ci interessano delle reti Ten-T e favorire i collegamenti merci di standard europeo (treni di 750 metri di lunghezza e 2.00 tonnellate di carico e 4 metri di altezza delle sagome in galleria) tra le Alpi e i porti. «Nel 2027 serve un treno merci europeo dal Brennero a Gioia Tauro passando sia per l’Adriatica che per la Tirrenica». Nel contratto di programma di Rfi ci sono già 66 miliardi sui 101 necessari per il progetto. Secondo punto: completare la rete Alta velocità. Il valore delle opere in corso da completare è di 48 miliardi di cui 18 da trovare. Ma servono ancora project review per ridurre i costi su trasversale Liguria-Alpi, Genova-Ventimiglia e Verona-Brennero e progetti di fattibilità per velocizzare la Salerno-Taranto e la Napoli-Palermo. In questo modo il 76% della popolazione vivrà al massimo a un’ora di distanza da una stazione Alta velocità (oggi è il 51%) e il 100% della popolazione a un massimo di due ore.
Per il turismo serve attuare il piano nazionale aeroporti del 2015 che prevede collegamenti ferroviari (veloci o metropolitani) per gli aeroporti principali. Servono nuove ferrovie veloci per Linate-Malpensa, Orio al Serio, Venezia, Genova, Napoli, Lamezia Terme e Catania. Bisogna completare e mettere in sicurezza la rete stradale. Infine per le città sono già previsti 23 miliardi (di cui 20,5 finanziati) per nuove metropolitane o ferrovie veloci, mentre 7 miliardi andranno a svecchiare il parco autobus (con 30mila nuovi veicoli) e 2,4 all’acquisto di nuovi treni.