Cent’anni e non li dimostra. L’Istituto Biochimico Italiano, fondato da Giovanni Lorenzini nel 1918 e oggi guidato dalla pronipote Camilla Borghese, è in ottima salute. «Siamo nati prima del servizio sanitario nazionale, ma continuiamo a fornire prodotti di altissima qualità grazie a una continua evoluzione e a una squadra molto affiatata», spiega Borghese, che è la terza donna alla guida del l’azienda di famiglia, partita dall’utilizzo terapeutico delle vitamine e oggi focalizzata sui prodotti sterili per iniezione.
Con un fatturato di gruppo che negli anni è passato dai 58 milioni del 2011 ai 71 milioni del 2018 (la capogruppo italiana l’anno scorso era a 64 milioni e quest’anno arriverà a 75), Ibi è tra le prime dieci aziende farmaceutiche italiane per produzione, in particolare di antibiotici, e guarda a farmaci che nei prossimi anni, con l’allungarsi della vita umana, dovranno tenere sotto controllo patologie sempre più complesse come l’Alzheimer o i disturbi neurovegetativi.
«Per riuscire a crescere in questo mercato molto regolato, dove le condizioni cambiano continuamente, bisogna essere molto flessibili e andare lì dove il prodotto è ri chiesto», racconta Borghese, che ha preso le redini dell’azienda dalla madre Livia e ha già «arruolato» due delle sue quattro figlie in produzione, una chimica farmaceutica come lei e un’ingegnere gestionale.
«Il continuo aggiornamento è essenziale, sia dal punto di vista scientifico che tecno logico. E, infatti, nell’ultimo decennio abbiamo investito 50 milioni di euro negli impianti per tenerci al passo con le tecnologie dell’industria 4.0 e diventare sempre più efficienti», rileva Borghese. Anticipando la normativa europea, che dal mese scorso obbliga anche l’industria farmaceutica europea a un minuzioso controllo documentale contro il fenomeno dei medicinali falsi e contraffatti, Ibi si avvale già da tempo di avanzate tecnologie per la tracciabilità dei prodotti fino alla distribuzione.
«Sono tecnologie che abbiamo già dovuto applicare per vendere negli Stati Uniti, un mercato dove negli ultimi anni siamo cresciuti molto», spiega Borghese. Proprio per una maggiore efficienza nei processi di verifica, la produzione è stata tutta concentrata nel quartier generale dell’Ibi ad Aprilia, dopo la chiusura dell’impianto milanese.
Le donne rappresentano il 43% dei 350 addetti: «Sono sempre più brave e meticolose», sostiene l’im prenditrice. La platea aziendale è molto giovane, con il 30% di addetti al di sotto dei trent’anni, e ha un alto livello d’istruzione, con il 34% di laureati. «Per noi l’istruzione è essenziale», precisa Borghese, che offre ai suoi dipendenti oltre seimila ore di formazione all’anno, per essere sempre al l’avanguardia, dalla produzione fino all’ospedale e al letto del malato.
L’Economia 15 marzo 2019