Il campanello d’allarme suonato due giorni fa con il dato sul fatturato del mega-comparto dei servizi in calo nel primo trimestre (-0,2% congiunturale; -0,5% tendenziale) ha trovato piena conferma ieri. La crescita dei 90 giorni d’inizio anno s’è fermata su un +0,1% congiunturale (contro lo 0,2% stimato un mese fa) ed è diventata negativa (-0,1%) in termini tendenziali. Il Pil acquisito è tornato a zero.
La correzione comunicata da Istat arriva con i conti economici ed è dovuta,dal lato della domanda, soprattutto alla debolezza della spesa per consumi (0,2%) e delle esportazioni (0,2%), mentre gli investimenti hanno mostrato una dinamica più positiva (+0,6%) in particolare per la componente delle costruzioni, più che compensata dalla variazione negativa delle scorte. Dal lato dell’offerta è invece mancata soprattutto la spinta del settore dei servizi (rappresenta oltre il 70% del valore aggiunto nazionale), che ha segnato un calo di due decimali, mentre la manifattura e l’agricoltura hanno messo a segno una crescita maggiore (rispettivamente +0,9% e +2,9%). «Si conferma l’interruzione della sequenza negativa registrata nella seconda metà del 2018» è il commento tecnico che accompagna la nota Istat che, in sede di correzioni, azzera anche il secondo trimestre del 2018 (dal +0,1%) e porta a +0,2% il primo trimestre 2018 (da +0,1%).
In questo contesto di andamento stagnante un aspetto positivo che vale la pena registrare è dato dalla crescita dell’input di lavoro, superiore a quella del Pil. È un segnale che potrebbe far intravedere una tendenza all’allargamento della base produttiva e occupazionale, pur in un quadro congiunturale difficile. In particolare le ore lavorate hanno registrato un incremento dello 0,7% rispetto al trimestre precedente, mentre le unità di lavoro (Ula) sono aumentate dello 0,4%. Una crescita c’è anche per i redditi da lavoro dipendente procapite: +0,5% in termini congiunturali nella media dei settori.
Che cosa succederà ora? La proiezione Istat sull’anno è +0,3%, una crescita che conferma la fatica con cui l’economia italiana cerca di riprendersi dalla doppia recessione, per usare un’espressione contenuta nelle Considerazioni finali lette ieri da Ignazio Visco. Il prodotto è ancora di oltre 4 punti al di sotto dei livelli del 2007; di 7 punti percentuali se calcolato in termini pro capite. Il traino, in questa fase difficile, è dato da una debole domanda interna e un export che cresce come l’import.
Venerdì prossimo avremo la nuova previsione di Bankitalia sulla crescita dell’anno ma le indicazioni in arrivo sul secondo trimestre non sono buone, con l’attesa di una produzione industriale di nuovo in calo ad aprile (Istat comunicherà il dato il 10 giugno). Per il Centro studi di Confindustria la produzione industriale segnerebbe un -0,2% in aprile su marzo e un +0,4% in maggio; con variazione acquisita nel secondo trimestre è di -0,4 per cento. Verosimilmente sarà dunque negativo anche il contributo dell’industria alla dinamica del Pil nei mesi primaverili, dopo che ne ha supportato la debolissima crescita del primo. La domanda interna – si legge nella nota diffusa ieri dagli analisti di Viale dell’Astronomia – continua a rappresentare l’anello debole di questa fase congiunturale mentre quella estera ancora non mostra decisi segnali di accelerazione. La fiducia degli imprenditori manifatturieri e delle famiglie è certamente migliorata in maggio ma «ciò non inverte la tendenza negativa in atto da diversi mesi e conferma un quadro debole e con prospettive poco favorevoli».
Secondo i calcoli dell’Osservatorio sui conti pubblici guidato da Carlo Cottarelli servirebbero a questo punto variazioni positive almeno pari al +0,15 a trimestre nei prossimi tre trimestri per centrare l’obiettivo di crescita dello 0,2% indicato dal governo nel Def. La frenata italiana si sta consumando in un contesto di decelerazione generalizzata, con un previsione Fmi di crescita globale 2019 del 3,3% il valore più basso stimato dal 2009. Nel primo trimestre, il Pil è aumentato in termini congiunturali dello 0,8% negli Stati Uniti, dello 0,4% in Germania e dello 0,3% in Francia. In termini tendenziali, si è registrato un aumento del 3,2% negli Stati Uniti, dello 0,7% in Germania e dell’1,2% in Francia. Nel complesso, il Prodotto dei paesi dell’area euro è invece aumentato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,2% nel confronto con il primo trimestre del 2018.