Gli ultimi bilanci delle imprese raccontano come il 2017 sia stato un anno spartiacque per le nostre aziende che hanno riportato gli investimenti a sfiorare i livelli pre crisi, così come la redditività operativa tornata praticamente al 2007. Non solo. Scelte accorte e condizioni migliori hanno anche consentito un accumulo di liquidità superiore a quella dei bilanci di dieci anni prima. Un fenomeno questo che si vede di più tra le Pmi più avverse al rischio. E questo aumento di liquidità oggi può rappresentare un prezioso tesoretto, perché con «un’iniezione di fiducia, la liquidità accumulata può trasformarsi in ulteriori investimenti produttivi, cruciali per rafforzare la crescita», avverte una nota diffusa ieri dal Centro studi di Confindustria. Nota che aggiunge però come la fiducia sia invece vacillata a inizio dell’anno scorso (in coincidenza con le elezioni): «Dalla primavera del 2018 è accaduto il contrario, con il clima di fiducia delle imprese manifatturiere italiane che ha registrato una progressiva e profonda caduta».
L’indagine diffusa ieri e realizzata dal CsC e il Cerved sui bilanci di quasi 30mila imprese (il 7% del totale) spiega come nel 2017 – l’ultimo anno per il quale sono disponibili tutti i bilanci – l’autofinanziamento lordo, cioè le risorse interne derivanti dai proventi della gestione operativa delle imprese, al netto dei costi è stato pari al 7,9% del fatturato (era l’8% nel 2007). Insomma il flusso della redditività e quindi delle risorse interne disponibili, è tornata su livelli «normali». Una performance, questa, che – avverte la nota del CsC – è stata possibile grazie a una maggiore attenzione alle gestione non operativa (meno oneri finanziari) e al capitale circolante (meno crediti e debiti commerciali), ma anche agli incentivi fiscali disponibili (dalla riduzione dell’Ires al superammortamento). E così gli investimenti fissi e immateriali, a fronte di una «significativa disponibilità di risorse», hanno raggiunto il 3,8% del fatturato, contro il 4,1% del 2007. Ma la nota sottolinea come mentre nel 2017 le imprese sono state attente «ad allineare gli investimenti produttivi con le risorse interne disponibili, prima della crisi non avvertivano questa esigenza. Gli investimenti risultavano allora, infatti, molto maggiori delle risorse interne nette». Da qui una minore necessità a trovare risorse finanziarie esterne, trovate tra l’altro attingendo di più agli aumenti di capitale azionario e all’emissione di obbligazioni, anche perché dalla metà del 2018 «le banche hanno ricominciato a stringere l’accesso al credito» a causa delle nuove tensioni sul debito con il rialzo dello spread.
Questo mix di scelte e condizioni hanno condotto a una maggiore accumulazione di liquidità rispetto al periodo pre-crisi (0,8 per cento, contro lo 0,3 del 2007). Liquidità che potrebbe ora essere riattivata con una vera iniezione di fiducia.