Il derby dello sviluppo tra Italia e Spagna dura almeno dal 16mo secolo e i risultati sono stati alterni nel tempo. Di sicuro è un benchmark che fa discutere le classi dirigenti e che anima il confronto interno ai due Paesi. Basta riandare al tempo dell’ingresso nell’euro quando il premier Romano Prodi fece di tutto per rientrare in gioco anche perché gli fu improvvisamente chiaro che Madrid sarebbe andata avanti anche senza di noi. Stavolta, a dar retta alle previsioni del Fondo Monetario, butta davvero male per noi e il sorpasso della Spagna è solo la metafora di un rischio più complessivo di retrocessione. L’indicatore scelto dai tecnici di Christine Lagarde è il Pil pro-capite ricalcolato sulla base della parità di potere d’acquisto e i risultati sono impietosi. Madrid ci sta sorpassando e nel giro di cinque anni ci distanzierà del 7%. Ma non è tutto.
Rischiamo di essere sorpassati nel 2023 anche da alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico come Slovacchia e Repubblica Ceca. Con tutto il rispetto per Bratislava e Praga sarebbe uno schiaffo per quella che è comunque la terza economia dell’Eurozona e il secondo Paese manifatturiero del Vecchio Continente. Il tutto poi ancora al netto delle conseguenze di un ciclo di instabilità politica di cui vediamo solo le avvisaglie e non ne conosciamo le ricadute concrete sulle strategie per la crescita. Il Fmi arriva anche a dirci che, se nel 1997 eravamo il 18mo Paese per ricchezza nel mondo, nel 2023 ci attende una retrocessione clamorosa fino a scendere al 37mo posto.
Quando si parla del confronto tra Italia e Spagna ci si interroga sempre su quali siano alla fine le politiche virtuose dei nostri cugini, che in passato ci avevano stupito per le loro performance ma poi erano sembrati dover pagare tutte le contraddizioni di un modello sviluppo centrato sull’immobiliare (la famosa “bolla”) e il turismo. Ci dobbiamo arrendere invece alla realtà dei numeri e sicuramente Madrid è uscita dalla Grande Crisi a una velocità elevata in assoluto e nettamente superiore alla nostra, grazie a un mix inedito di flessibilizzazione «liberista» del mercato del lavoro, di rilancio «keynesiano» degli investimenti pubblici (a costo di rimanere sopra il 3% previsto dal trattato di Maastricht) e alla scelta lungimirante di utilizzare i fondi europei per il salvataggio delle banche. Ma non è tutto: paragonata con noi la Spagna ha il vantaggio di apparire un «Paese giovane». E la demografia conta.