Federico Delaini è un imprenditore del turismo, cioè di uno dei settori con il bilancio 2020 quasi totalmente azzerato dalla pandemia. Lui stesso, con il Gruppo Bella Italia, ha visto sparire 60 milioni di fatturato su 90. Eppure è il primo a dire (non solo perché nel 2021 è ripartito di corsa e per il 2022 ha già parecchi sold out): «Basta, non parliamo più di Covid. Siamo italiani: guardiamo avanti». Si rivelerà il leit motiv del pomeriggio Meet The Champions di Padova, terzo dei nove incontri organizzati anche quest’anno da L’Economia e ItalyPost nei territori delle nostre piccole-medie aziende top performer.
Creativi e flessibili
Tutti qui, sul palco veneto, almeno in termini di ricavi hanno pagato un «conto virus» più o meno salato. Nessuno si lamenta. È successo, è il mondo che si è fermato: punto. Di tragicamente irrimediabile ci sono soltanto gli oltre 130 mila morti, dicono sfidando un certo vittimismo di categoria, non i danni a imprese ed economia. Quelli, per quanto pesanti, possono essere riparati. In buona parte lo sono già stati. Costretta a una revisione radicale, la macchina-azienda ha visto molte sue componenti venirne fuori stritolate (e sono drammi, anche questi), e tuttavia nel complesso ne è uscita meglio, molto meglio di come c’era entrata. E me- glio, molto meglio di quasi tutte le altre grandi nazioni industriali. Germania inclusa.
È appena incominciata, si direbbe, nonostante le ombre proiettate sulla ripresa dal contesto globale. E se a scorrere le previsioni internazionali sulla nostra crescita continuiamo a stupirci, evidentemente ci è sfuggito un pezzo di Paese. Non rientra negli stereotipi dell’economia-spettacolo. Lontano dai riflettori, non ha mai smesso di investire e aver cura (vera) dei propri dipendenti. Grazie a questo, nel blackout Covid ha saputo reinventarsi a una velocità impressionante.
Quel pezzo sono i Champions. Non a caso, per loro, gli insperati ritmi del nostro sviluppo non sono una sorpresa. A Padova diceva per esempio Massimo Poliero, presidente di Legor Group, leader mondiale delle leghe metalliche per la gioielleria (altro settore atterrato dalla pandemia): «C’è stato un grande ritorno della manifattura made in Italy. I nodi ci sono e sono quelli che cono- sciamo: materie prime, noli, trasporti, per limitarci ai soli problemi globali. Ma continuo a vedere una grandissima capacità di innovazione dell’imprenditore italiano».
Che oggi è, per dirla con Simone Patella, direttore finanziario della meccatronica Amer, «vincente rispetto ai tedeschi perché sì, le nostre aziende sono più piccole e questo può essere un limite, però siamo anche più creati- vi, geniali, flessibili, veloci. Noi, per esempio, ci siamo accorti esattamente un anno fa che le materie prime sarebbero “esplose”, e abbiamo comprato il più possibile». Detto ciò: «Ci sono comunque aspetti speculativi molto forti. Credo che tra gennaio e febbraio i prezzi rientreranno».
È una delle ragioni per cui, dopo un 2021 in forte recupero, «guardando avanti» i Champions vedono anche nel 2022 «un anno di buone soddisfazioni». Per le loro aziende, e per l’economia nazionale nel suo complesso. Non pensano sia un exploit fortuito a spot, il fatto che l’Italia abbonata agli ultimi posti delle classifiche di crescita corra, da mesi, oltre la media europea e addirittura più del doppio della Germania.
Maneggiare con cura
Siamo quelli che più avevano da recuperare? Sì. Siamo lo stesso Paese che, «prima», viaggiava costante nel tunnel delle occasioni sprecate? Forse no. Sicuramente non in questa fase. Né è un caso se gli stessi Champions — che dell’inedita Locomotiva Italia sono alla guida, insieme a pochi grandi gruppi — ora usano un linguaggio nuovo. «Ieri» dicevano di sentirsi soli, racconta- vano di tassi di sviluppo a due cifre abbondanti, okay, ma che sarebbero potuti essere persino più robusti se invece che con il Fattore Italia avessero avuto, nel retro- terra Paese, una pur minima fra- zione di Sistema Germania. Oggi hanno sostituito «Fattore Italia» con «Fattore Draghi» e, benché ovviamente non pensino al presidente del Consiglio come a un mitologico Mago Merlino, nel suo stile si riconoscono. Soprattutto: dalla sua leadership si sentono rappresentati. Com’era accaduto con Carlo Azeglio Ciampi, per esempio, ma mai davvero con premier di partito. E in fondo, a dirla tutta, nemmeno con le associazioni di categoria. Perciò non è una questione politica. È parecchio di più. Chiamiamolo (perché no?) «orgoglio Paese». O come vogliamo. Resta il filo che con maggior evidenza unisce i piccoli Campioni del grande Made in Italy. È un filo robusto, oggi. Domani: attenzione a non spezzarlo.