Un piano di tagli ma anche di crescita. Taglio dei costi e dei crediti in sofferenza, sviluppo del business con focus particolare sul risparmio gestito e sull’attività assicurativa, a conferma della svolta strategica da banca tradizionale a grande asset manager (attività da cui nel 2017 è già arrivato il 50% degli utili del gruppo). Sono queste, stando alle indiscrezioni, le linee guida del nuovo piano industriale quadriennale (2018-2021) di Intesa Sanpaolo che il chief executive officer Carlo Messina porterà domani all’approvazione del consiglio di amministrazione della banca e che martedì mattina sarà presentato alla comunità finanziaria.
Le attese del mercato, dopo il recente pressing della vigilanza Bce sullo smaltimento dei crediti deteriorati e a meno di un mese dalle elezioni politiche italiane, sono concentrate soprattutto sui piani di de-risking (e dunque sulla riduzione degli Npl) e sulla futura politica dei dividendi dopo che nei quattro anni di piano appena concluso il gruppo ha mantenuto la promessa di erogare un monte-cedole di 10 miliardi.
Sul versante della riduzione dei crediti a rischio che, secondo le ultime stime di Bank of America-Merrill Lynch, ammontano a 54 miliardi lordi, di cui 35 miliardi di sofferenze, la banca punta ad annunciare la cessione di uno stock di oltre 10 miliardi di Npl avvalendosi dei nuovi principi contabili Ifrs 9, senza alcun impatto sul conto economico. La riduzione dell’extra-buffer patrimoniale potrebbe essere compresa tra 2 e 2,5 miliardi, secondo le stime provvisorie che ignorano il prezzo di cessione degli Npl, e parzialmente compensata dalla cessione del 51% della Capital light bank che gestisce le sofferenze per un valore più vicino al miliardo che ai 500 milioni fin qui stimati dal mercato. La stima di 500 milioni «appare conservativa se paragonata a quella di concorrenti del settore come Dobank e Cerved», scrivono gli analisti di Bofa. Trattative sono in corso sia con gli svedesi di Intrum Justitia che con i cinesi di Cefc (si veda l’anticipazione de Il Sole 24 Ore del 2 febbraio), ma è improbabile che si chiudano entro martedì quando il piano sarà annunciato. Resta la volontà di Intesa di deconsolidare la piattaforma di gestione crediti, mantenendo però una quota e dunque una compartecipazione agli utili che deriveranno dal futuro recupero degli asset creditizi. L’obiettivo, caro alla Vigilanza di Bce, è di ridurre sensibilmente il cosiddetto Npe ratio (rapporto tra crediti al rischio e totale degli impieghi creditizi) sotto al 10% che Francoforte considera come nuovo livello “auspicabile” per il settore. Accelerando, nell’arco del piano e si vedrà con che tempi, rispetto alle previsioni iniziali degli analisti di una discesa all’11,5% entro il 2019.
La manovra sugli Npl impatterà comunque solo sul Cet 1 che, stando agli ultimi dati noti, era del 13% secondo i criteri transitori in vigore per il 2017 e del 13,4% a regime. Livelli ben superiori ai requisiti minimi Srep richiesti dalla Vigilanza Bce per il 2018 (8,145% transitorio e 9,33% secondo i criteri a regime). L’impatto della cessione delle sofferenze avvalendosi degli Ifrs9 ridurrà dunque il patrimonio mantenendo comunque un extra-buffer di capitale che non pregiudica la futura politica dei dividendi. E l’aumento ulteriore della redditività, secondo gli analisti di Citi nel report del 30 gennaio, dovrebbe generare internamente circa 150 punti base all’anno di capitale pre-dividendo. Con che orizzonte reddituale? Secondo le stime di Credit Suisse, «gli utili al 2011 dovrebbero arrivare a 5-5,5 miliardi e il payout ratio collocarsi in un range del 62-68% con un dividendo di 3,4 miliardi».
In che modo sarà generata la crescita della redditività in un contesto di mercato che resta difficile per il credito dati i bassi tassi d’interesse? È ancora possibile, come avvenuto negli ultimi anni, che la crescita delle commissioni del wealth management compensino la frenata del margine d’interesse? Sono questi i temi su cui il mercato attende al varco Messina, che affronterà gli investitori forte di un track record non facile da ripetere se si tiene conto che la banca ha superato i 50 miliardi di capitalizzazione di mercato.
Uno dei due driver della redditività, inevitabilmente, sarà ancora il contenimento dei costi. Dal completamento dell’integrazione delle due banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) all’incorporazione di Banco Napoli e altre banche del territorio fino all’ottimizzazione della presenza nell’asset management, sono molteplici i centri di risparmio di costo. Compreso il piano di riduzione delle filiali e dei dipendenti, in accordo con i sindacati. Si vedrà se e in che modo saranno rispettate le ambiziose attese degli analisti che, come nel caso di Citi, si aspettano una discesa del cost/income ratio dal 54% attuale al 42% nel 2021. Rapporto su cui inciderà anche la crescita dei ricavi, che Intesa Sanpaolo intende aumentare – in attesa che i tassi d’interesse tornino a far risalire i margini dell’attività creditizia – con l’ulteriore spinta delle attività di asset management (Fideuram, Eurizon, Intesa Private Banking) e assicurative (Intesa Vita). Crescita che, secondo i piani, avverrà in Italia ancora con il trasferimento delle masse da amministrate a gestite – le due Venete sono un nuovo bacino importante di clientela – ma anche con la crescita all’estero tramite accordi in aree come la Cina cui Messina ha detto anche di recente di guardare con interesse.