Il cartello con il suo nome – «Iain Mattaj – Director» – è già appeso accanto alla porta della sua stanza, al quarto piano di Palazzo Italia, sede dello Human Technopole. Sotto la sua guida, l’istituto ha l’ambizione di diventare entro il 2024 uno dei più grandi poli di ricerca multidisciplinare sulle scienze della vita, con sette centri su 30mila metri quadrati all’interno dell’ex area Expo di Milano e 1.500 dipendenti tra amministrativi e ricercatori. Lui, Iain Mattaj, sarà operativo a tempo pieno come direttore dell’istituto dal prossimo gennaio. Selezionato attraverso il bando pubblicato un anno fa e nominato ufficialmente lunedì scorso dal Consiglio di Sorveglianza della Fondazione Human Technopole, lo scienziato è dal 2005 direttore generale dello European Molecular Biology Laboratory (Embl) di Heidelberg, uno dei maggiori istituti internazionali di ricerca dedicato alla biologia molecolare. Nato in Scozia nel 1952, Mattaj si è laureato a Edimburgo in Biochimica e ha ricevuto importanti riconoscimenti e incarichi scientifici presso istituti di ricerca di tutto il mondo.
Raggiunto al telefono nel suo ufficio di Heidelberg si schermisce: «Mi scusi per la voce, sono appena rientrato da un viaggio di lavoro in Australia e devo ancora smaltire il jet leg.
La sua designazione risale a febbraio, ma la nomina ufficiale è di questi giorni. A che punto è la formazione della squadra?
«Ci sono ancora alcuni passaggi formali da completare per nominare tutte le persone e gli organismi della Fondazione, ma ormai ci siamo. A settembre pubblicheremo i bandi per selezionare i membri del Consiglio di gestione e il Chief Operating Officer, poi quelli per i direttori dei centri di ricerca. Penso che potremo cominciare ad assumere i primi ricercatori già entro l’anno.
Perché ha deciso di partecipare al bando e di accettare la proposta dello Human Technopole?
Sono impegnato da sempre nello sviluppo della ricerca in Europa e dopo tanti anni all’Embl ero in cerca di nuove opportunità e sfide che mi consentissero di avere un’influenza nella comunità scientifica europea. In questi anni ho avuto diversi contatti con l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, ho conosciuto il loro modo di lavorare e ritengo che si tratti di un modello di successo. Perciò, quando ho saputo del progetto di un istituto di ricerca sulle neuroscienze realizzato con un modello simile, ho deciso di partecipare al bando. Penso sia un piano molto ambizioso e sfidante, oltre che una opportunità importante per lo sviluppo delle scienze in Italia e in Europa.
Che cosa la convince del progetto e in che cosa deve invece essere potenziato?
È una bozza di programma estremamente valida ma è, appunto, una bozza. Come sa, ci sono sette centri di ricerca su sette aree differenti: per ottenere risultati in ogni ambito è necessario reclutare i migliori scienziati per ciascuno di essi. Inevitabilmente apporteremo qualche modifica al piano originario, valutando quali sono le aree più importanti e in quali ambiti possiamo portare a Milano i migliori ricercatori, ma la bozza è molto buona. Se riusciremo a trovare le persone giuste, non c’è dubbio che faremo un buon lavoro.
E come pensa di portare qui i migliori cervelli? L’Italia non è un Paese particolarmente attrattivo…
Sì, capisco quello che vuole dire, ma mi permetta di risponderle con una battuta: io sono uno dei migliori scienziati al mondo e io sono interessato a questo progetto! Mi ha convinto il modello scelto, quello di una Fondazione, che penso potrà proteggere l’HT da molti dei problemi che sono endemici ad altri ambiti della comunità di ricerca italiana. In Italia ci sono eccellenti istituti di ricerca dedicati alle scienze, sostenuti da organismi di Charity o da Fondazioni. Inoltre, trovo che il progetto di sviluppo non solo dell’HT, ma di tutta l’ex area Expo di Milano, sia estremamente affascinante per gli scienziati: un sito dove coesisteranno le facoltà scientifiche dell’Università Statale, un ospedale e le divisioni di ricerca di aziende private, tra cui IBM, è un’occasione unica.
Il presidente dell’HT, Marco Simoni, ha detto che il benchmark della Fondazione è raddoppiare i fondi a disposizione in 6-7 anni: è un obiettivo credibile?
Certo, è possibile, ma ci vorrà tempo: prima dovremo dimostrare che vale la pena investire, che abbiamo ricercatori molto bravi, progetti innovativi con effetti sulla salute delle persone e così via. Se riusciremo a fare questo, allora riusciremo ad attrarre i fondi europei per la ricerca, a stringere collaborazioni con le imprese e con le tante Fondazioni italiane che sostengono le scienze e che spero vorranno sostenere anche lo Human Technopole.
Che cosa porterà a Milano della sua esperienza all’Embl?
A Heidelberg ho imparato che la ricerca deve essere multiculturale, multidisciplinare e collaborativa. Vorrei che anche l’HT sappia interagire con la comunità scientifica, italiana e internazionale.
Non teme le lungaggini e inefficienze del sistema Italia?
Per esperienza so che, quando c’è buona volontà, i risultati si raggiungono. Mi dicono che Milano è una città in cui le cose si possono fare. Spero che anche questo sarà il caso.
In questi anni ci sono state molte polemiche sullo Human Technopole. È pronto ad affrontarle?
All’Embl ho imparato che tutto quello che funziona bene è sempre un bersaglio per le critiche, e che l’unico modo per contrastarle è continuare a lavorare bene ed essere collaborativi. So che ci saranno critiche e sono aperto a quelle costruttive: sicuramente saranno utili per cambiare e migliorare.
Conosce già Milano? Si trasferirà qui con la sua famiglia?
Non posso dire di conoscerla bene, ma ci sono stato molte volte, ospite di università e centri di ricerca. Dopo tanti anni passati in una piccola cittadina come Heidlberg, mi affascina l’idea di trasferirmi in una metropoli. Abbiamo intenzione di prendere un appartamento in centro. So che l’area dell’HT è ben collegata con la metropolitana e che a Milano la metro funziona bene. E poi ci sono il mare e la montagna a un paio d’ore di auto. E io amo camminare in montagna.