Le imprese e i tecnici di Industria 4.0 lanciano l’allarme: senza incentivi per la formazione e senza un piano pluriennale lo sviluppo digitale del sistema industriale rischia di bloccarsi. La mission della proroga di un anno del Piano Industria 4.0 è chiara: far accedere agli incentivi il 51% delle imprese che nella prima tornata non ha usufruito degli aiuti, prevalentemente piccole aziende. C’è poco, invece, per consolidare gli investimenti del 49% che ha già acquisito macchine digitali con lo sconto fiscale. Si rischia così di depotenziare gli investimenti degli ultimi tre anni.
Gli incentivi della prima fase hanno consegnato al sistema industriale italiano 50mila macchine utensili di nuova generazione, quasi il 20% del intero patrimonio installato. Ma nonostante la metà delle imprese abbia i requisiti per ricorrere agli incentivi, i segnali di calo dell’intensità sono evidenti. La produzione di beni strumentali, il fatturato e anche gli ordinativi sono in decisa frenata. Il cavallo delle macchine non beve più con la stessa intensità di prima. La proroga dovrebbe dargli una nuova spinta.
Sono invece in netta ascesa le ricadute a valle di Industria 4.0. Fatturato e ordinativi del comparto dei computer e dell’elettronica segnalano una crescita a doppia cifra. L’ultima rilevazione, quella relativa a luglio, registra un aumento del fatturato del 14,7% e degli ordinativi del 12,2% rispetto al 2017. La produzione industriale degli stessi beni è invece cresciuta dell’1,3%, in controtendenza rispetto all’indice generale. «Il dato di luglio registra l’effetto degli acquisti dei software», dice il presidente di Confindustria digitale Elio Catania. «Abbiamo evidenze da parte delle nostre imprese di un aumento della domanda di sistemi, di connessioni, di tutto quanto è necessario per mettere a regime linee di produzione 4.0».
Per rafforzare il trend è in arrivo la proroga dell’iperammortamento per investimenti effettuati nel 2019, ma con possibile consegna del bene fino a giugno 2020. Un rinnovo molto atteso, che verrà declinato con un vantaggio particolare per le Pmi. Proprio agli investimenti inferiori, fino a 500mila euro, è riservata l’aliquota di maggiorazione più alta, pari al 180% (si veda Il Sole 24 Ore del 28 settembre), un incentivo maggiore anche rispetto alla norma vigente. La tesi seguita dai tecnici del governo è molto chiara: Industria 4.0, benché non abbia mai previsto vincoli di dimensioni, è stato uno straordinario volano per le grandi imprese già alle prese con programmi di digitalizzazione. Ora si impone però un cambio di passo che traghetti nella nuova dimensione le imprese meno preparate o più reticenti, che a maggior ragione hanno bisogno di essere supportate nei processi di formazione. Qualcosa comunque si muove e, sondando il mercato, anche la sensibilità di queste imprese sembra in crescita.
Antonio Cibotti, responsabile marketing di Bucci Industries, multinazionale tascabile di Faenza che opera nell’automazione dei processi, conferma la tendenza. «Monitoraggio remoto e manutenzione predittiva – dice – stanno rapidamente passando dalla teoria di qualche anno fa alla pratica. Le grandi imprese ormai ci chiedono solo sistemi che consentano il monitoraggio remoto delle linee. Ma anche piccole e medie imprese stanno imboccando questa strada con decisione. Sono strumenti di facile accesso, assimilabili a tablet e smartphone. Non si tratta di investimenti proibitivi, tutt’altro. Lo scoglio maggiore è convincere l’imprenditore a mettere i dati dell’impresa sul cloud. Ma è una strada tracciata. I produttori di macchine costruiranno solo linee a controllo remoto».
La via tecnologica è segnata, le nuove misure hanno l’obiettivo di avviare alla trasformazione il 49% delle imprese a potenziale 4.0 che non ha fatto investimenti per evitare che si allarghi il digital divide industriale. Le imprese rimaste indietro sono di settori in difficoltà strutturale e perlopiù localizzate nel Mezzogiorno, le più difficili da convincere.
Poi ci sono le imprese che hanno già investito nel digitale e non vanno abbandonate al loro destino.
«Negli anni Novanta, durante la prima fase della digitalizzazione», dice Marco Bettiol, professore di Economia aziendale all’Università di Padova,«le imprese avevano creato siti internet aziendali. La gran parte non li ha più aggiornati pensando di aver concluso l’opera. Adesso il rischio è che rimanga fermo il processo di aggiornamento delle tecnologie per chi ha fatto investimenti 4.0 soprattutto sotto la spinta degli incentivi».
Uno studio della stessa Università di Padova fatto prima del Piano Industria 4.0 stima che nel Nord (Triveneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna) le imprese che hanno adottato tecnologie digitali sono il 18% del totale. Sono aziende di tutte le dimensioni, anche piccole e piccolissime. «Il discrimine – dice Bettiol – non è la dimensione né il fatturato. A investire nel digitale senza incentivi sono state soprattutto le imprese più internazionalizzate e a forte connotazione innovativa. Sono i più motivati». Ma il resto, chi è ancora fuori dal processo e chi è dentro ma deve essere assistito nell’implementazione e nell’aggiornamento, è a rischio.
«È apprezzabile – dice Catania – che il Governo dia continuità agli incentivi. Ma sarebbe più utile dare alle imprese una garanzia di stabilità nel tempo. È altrettanto importante defiscalizzare la formazione dei dipendenti e dei tecnici». È una prospettiva di lungo periodo. «Super e iperammortamento sono stati uno shock positivo per le imprese», dice Marco Taisch, responsabile dell’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano. «Bisogna insistere con le piccole imprese per non allargare il digital divide con le grandi e tra Nord e Mezzogiorno. La conferma degli incentivi è un’ottima decisione ma servirebbe un piano di medio-lungo periodo che incentivi anche la formazione e renda meno farraginosi i meccanismi per attivarla».