Non solo Embraco. La probabile fuga dell’azienda controllata da Whirlpool verso la Slovacchia, senza dimenticare il caso Aferpi di Piombino, conferma e aggrava uno stato di crisi industriale che non sembra avere fine. E che anzi coinvolge sempre più imprese e un numero crescente di persone. Il ministero dello Sviluppo economico calcola che nel 2017 i dossier aperti sono saliti a 162 portando a quota 180mila i lavoratori coinvolti (+37% rispetto al 2012, quando i tavoli erano 119 e i dipendenti interessati 118mila). La media nei sei anni (2012-2017) è di 146 tavoli aperti per 143mila dipendenti interessati e, secondo il governo, il coinvolgimento di grandi gruppi come Alitalia e Almaviva, che in precedenza pur essendo interessate da difficoltà non marginali non avevano chiesto aiuto, sta appesantendo la situazione. Le statistiche, appunto, rimandano l’immagine plastica di una crisi di sistema che morde con maggior forza rispetto agli anni scorsi. Dal 2016 al 2017 i lavoratori coinvolti da rovesci di fabbrica sono 25mila in più, mentre dal 2012 l’aumento tocca quota 62mila. Nell’ultimo biennio il Mise conta 62 vertenze concluse positivamente e 45 casi di successo di siti totalmente o parzialmente dismessi che vedono interventi di nuovi investitori.
Ma, purtroppo, ci sono stati ben 21 casi che si sono conclusi con il fallimento e la conseguente perdita di posti di lavoro. Certo, il tasso medio di soluzione positiva nel corso dei 6 anni presi in esame è del 58%. Ma poi la metà delle crisi si ripropone nei mesi successivi. Quali sono le aree a maggior rischio? Palazzo Chigi parla di “crisi sistemica per gli elettrodomestici”, mentre dal 2016, oltre all’esordio dei call center, crescono le difficoltà nella siderurgia (il caso più celebre è quello dell’Ilva). In miglioramento il comparto automotive. Negli anni dal 2012 al 2014 il settore Ict è stato tra i più colpiti, sempre al primo o al secondo posto. In media le vertenze restano aperte 28/30 mesi (in alcuni casi anche oltre i 60 mesi, come per Alcoa, Lucchini, Termini Imerese, Om Carrelli, Gepin, Ideal Standard). Il ministero ricorda “fra le vicende industriali più spinose”, Bridgestone, Whirlpool a Carinaro, Micron di Avezzano, SM Optics (spin off di Alcatel), SGL, Selcom, Dema, Saeco (gruppo Philips), Pilkington, Pansac, Italtel, Iveco e Italcables. «Molte crisi si trascinano perché il progetto messo in campo non decolla e non riassorbe lavoro», spiega Salvatore Barone.
Tra i casi irrisolti, il responsabile per le politiche industriali della Cgil cita Termini Imerese: «1.200 dipendenti, ancora circa 750 da ricollocare ma dopo l’accordo con la Blutec che ha riconvertito lo stabilimento, e che si è impegnata a far rientrare gradualmente tutti, sono tornati al lavoro solo in 120». Altri casi esemplari? L’Irisbus in valle Ufita: era l’unica insieme alla Menarini di Bologna a costruire autobus in Italia: ora sono di proprietà della Industria Italiana Autobus ma sono solo poche decine i lavoratori rientrati. E ancora. Alcoa nel Sulcis, chiusa da cinque anni. Invitalia ha ceduto lo stabilimento alla svizzera Syder Alloys ma la fabbrica è ferma: deve partire una nuova trattativa sindacale su piano industriale e livelli occupazionali.