All’orizzonte dell’economia nazionale si allungano le ombre di un rallentamento del commercio internazionale e di un aumento del prezzo del petrolio. Due pesi che potrebbero ridimensionare la crescita in corso da quindici trimestri consecutivi sia pure su livelli inferiori alle medie dell’eurozona.
Ieri Istat nelle sue previsioni macro ha confermato un Pil in crescita dell’1,4% (lo stesso valore indicato lo scorso novembre) sottolineando però le incertezze che, con il passare delle settimane, prendono sempre più corpo. La simulazione offerta prevede un calo di due decimali del Pil reale (quindi a un +1,2%) in un contesto di rallentamento del mercato-mondo dello 0,5% e di un aumento del 10% del prezzo del Brent (a 78 dollari per barile in media d’anno; un valore già superato nei future che vedono il prezzo all’ICE sopra gli 80 dollari a luglio).
Se lo scenario negativo si verificasse il contributo della domanda estera netta da nullo diventerebbe negativo di un decimale e anche i consumi delle famiglie rallenterebbero dello 0,1%. In compenso prezzi più caldi degli energetici alimenterebbero l’inflazione, tant’è che nelle nuove previsioni Istat il deflatore del Pil in media d’anno sale all’1,1%, dopo il +0,6% del 2017.
Rischi shock internazionali
Dei fattori esogeni che possono aumentare i rischi al ribasso delle stime sul Pil 2018 (dato in crescita dell’1,5% nel Def) s’è diffusamente parlato nelle audizioni di due settimane fa davanti alle Commissioni parlamentari. Sia nella testimonianza della Banca d’Italia sia in quella dell’Ufficio parlamentare di Bilancio l’enfasi era andata sull’esposizione della nostra economia, con la sua struttura produttiva assai orientata ai mercati esteri, e sui canali lungo i quali l’incertezza sulle prospettive del commercio mondiale potrebbe trasmettersi ai mercati finanziari e alla fiducia delle famiglie e delle imprese, scoraggiando consumi e investimenti. Secondo l’UpB, in particolare, gli effetti di uno shock protezionistico sarebbero più ampi di quelli stimati nel Def (-0,5% contro il -0,3% sull’anno).
Le componenti del Pil
Tornando alle previsioni Istat, i consumi interni sono dati in rallentamento (dal +1,4% dell’anno scorso al +1,2% di quest’anno) e a sostenere la domanda interna sarebbero invece gli investimenti fissi lordi (+4% nel 2018, dopo il 3,8% del 2017 e il 3,2% del 2016). Migliorerebbe ulteriormente, da qui a fine anno, anche il mercato del lavoro, con un’occupazione espressa in unità di lavoro prevista in crescita dello 0,8% e un tasso di disoccupazione in flessione al 10,8%. Dietro questi aggregati ci sarebbe un ulteriore aumento dei lavoratori dipendenti e uno stop al calo in corso degli autonomi. L’aumento dell’occupazione – sottolinea ancora Istat – comporterà «sia una crescita del monte salari sia un miglioramento delle retribuzioni per dipendente, che segneranno una forte accelerazione (+1,4%) rispetto all’anno scorso».
Investimenti e produttività
Le previsioni Istat di ieri si completavano con un approfondimento sul modello di crescita dell’economia italiana, caratterizzato da una produttività del lavoro attesa in aumento dello 0,6% quest’anno a fronte di un incremento dell’1,3% della Germania e dell’1,2% della Francia (Commissione Ue, previsioni di primavera). Dietro questo ritardo ci sarebbe, tra l’altro , un diverso processo di accumulazione del capitale, più orientato all’innovazione e ai beni intangibili in Francia e Germania, più ancorato ai macchinari e le attrezzature in Italia (+9,2% nel 2017 contro un +3% degli investimenti in proprietà intellettuale).
Osservando la composizione e l’evoluzione degli investimenti per tipologia di bene – spiegano gli analisti dell’Istat – «rispetto agli altri paesi europei l’Italia rimane caratterizzata da una riduzione del contributo del capitale per ora lavorata associata a un significativo ritardo nella sostituzione di capitale tangibile a favore di capitale innovativo, in particolare ricerca e sviluppo, che costituisce uno degli elementi fondamentali del nuovo modello sviluppo delle economie avanzate». In questo diverso percorso di accumulazione del capitale, il rapporto tra investimenti totali e Pil è tornato a salire dal 17,1% del 2016 al 17,5% del 2017 ma rimane comunque inferiore di 4 punti percentuali rispetto ai livelli pre-crisi ed è tra i più bassi nei paesi dell’Unione europea. Quest’anno si dovrebbe arrivare al 17,9%.
Anche sul fronte dell’input di lavoro (misurato sul titolo di studio e livelli di qualifiche occupazionali) restituisce l’immagine di un distacco del nostro Paese che si traduce in bassa produttività. Nel 2017 in Italia la quota di occupati tra i 25 e i 64 anni con titolo di istruzione terziaria (23,1%) è stato marcatamente inferiore a quella di Spagna (43,2%), Francia (41%) e Germania (31,3%).