«È un incredibile ritorno al passato». In attesa di conoscere il testo definitivo del decreto dignità, le imprese manifestano il loro dissenso su alcuni temi presenti nelle bozze in circolazione, come è emerso chiaramente, ieri, all’assemblea degli industriali di Mantova. A guardarsi indietro c’è chi, come fa il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe, sostiene che «il Jobs act è una legge buona ma perfettibile, in cui quello che è mancato è la gamba che riguarda le politiche attive del lavoro. Oggi dobbiamo riprendere tutto quello che c’è e riorientarlo ma senza andare a creare termini nuovi e strumenti nuovi che non si sa con quali risorse vengono finanziati. Bisogna individuare gli strumenti e poi capire come si finanziano».
C’è poi chi, invece, dice che «del Jobs act non salverei nulla», come il segretario generale della Cgil Susanna Camusso. «Noi abbiamo oggi molti problemi soprattutto sul fronte degli ammortizzatori che sono insufficienti. I numeri dimostrano che non è vero che togliendo i vincoli al lavoro si abbiano poi chissà quali incrementi di posti», continua la sindacalista. Un punto su cui però la presidente Luiss (e presidente uscente di Business Europe), Emma Marcegaglia, dissente con forza e fa un’analisi differente. «L’Italia ha ripreso a crescere ma cresce troppo poco. E per di più è una crescita che rallenta. In questi anni, però, nel nostro paese sono stati creati un milione di posti di lavoro. Dobbiamo essere chiari nel dire che è normale che ci sia una parte di lavoro a tempo determinato o part time in una fase così volatile. Ed è comunque meglio che non avere lavoro».
Dure le parole pronunciate dal presidente di Confindustria Lombardia, Marco Bonometti, in una delle tavole rotonde moderate dal direttore del Sole 24 Ore, Guido Gentili: «Di fronte alla confusione generale, con rammarico, vedo che la parola impresa è scomparsa dal vocabolario. Ma senza impresa non ci sono comunità, scuole, lavoro, ricchezza. Se noi non abbiamo certezze le nostre imprese scompaiono, vanno a lavorare da un’altra parte». Con riferimento alla Lombardia, osserva che «se oggi la Lombardia è un’eccellenza lo dobbiamo alla fiducia degli imprenditori sul territorio, nonostante tutto e tutti. Dobbiamo difendere questa eccellenza».
C’è sicuramente molta attenzione da parte delle imprese al contesto nazionale, ma anche internazionale, sopratutto perché, come sintetizza Stirpe «abbiamo la sensazione che certi processi virtuosi che si sono innescati stiano cominciando ad accusare un senso di stanchezza e i rischi che possono provenire dai dazi e dalle incertezze geopoliche del paese, anche l’imminente fine del quantitative easing, ci fanno pensare che stiamo andando verso un momento che non è brillante, effervescente. Il governo ha fatto bene ad aprire un discorso a tutto campo sull’immigrazione. Serve che si vada verso una risoluzione corretta equa e condivisa da parte di tutti».
Su una questione chi fa la rappresentanza delle imprese e dei lavoratori concorda. E cioè il dialogo e il coinvolgimento delle parti sociali ai tavoli di governo, pur nel rispetto dei perimetri di competenza. «Abbiamo la necessità che le parti sociali siano ascoltate – dice Stirpe -. Il decreto dignità è un incredibile ritorno al passato. Per come lo abbiamo letto sui giornali può portare all’aumento della robotizzazione, alla riduzione del tempo di uso dei contratti a termine e all’aumento degli straordinari nelle imprese». C’è l’invito forte, a una riflessione profonda perché «le imprese così non assumono. Non si può dare un messaggio negativo alle imprese e anche sulla questione delle delocalizzazioni siamo distanti. L’unico effetto che avrà questo decreto è rendere ancora meno attrattivo il nostro paese all’estero. Ma chi verrà più a fare investimenti in Italia?» è la domanda conclusiva di Stirpe. Camusso rilancia il ruolo delle partisociali: «Ai governi che hanno deciso che non esistevamo non è andata proprio bene. Le parti sociali non scompaiono perché si è deciso di ignorarle».
Il confronto tra imprese e sindacato è un continuo avvicinarsi e allontanarsi di punti di vista, con molte sintesi importanti. Il patto per la fabbrica è sicuramente uno dei più forti punti di contatto e costruzione, così come la difesa dei contratti collettivi nazionali di lavoro, ma poi sui contratti a termine, di nuovo le rappresentanze di imprese e lavoratori si allontanano. «Abbiamo opinioni diverse sui contratti a termine – ammette Camusso – e su questo continueranno a dividerci».