A Vincenzo Boccia non si può rimproverare nulla. Il presidente di Confindustria ha letto ieri un discorso asciutto, poco incline a pescare applausi ma che ha saputo mettere in fila i punti fermi della migliore cultura industriale italiana. Nessuna concessione alla sloganistica corrente, poche e ben selezionate citazioni (curiosa quella della Thatcher), Boccia si è fatto specchio fedele dei timori dell’Italia che produce messa di fronte alla radicale svolta degli equilibri politici del Paese. L’Europa non è matrigna ma il contesto più favorevole per la crescita italiana. Impresa e sindacati, pur nel rispetto dei ruoli, possono guardare insieme più in là del contingente. Non dobbiamo tornare a un’Italia «povera e agricola dei nostri nonni» ma possiamo hic et nunc vincere la sfida della competitività con i nostri partner/concorrenti. Il presidente di Confindustria ha dunque ribadito le ragioni di una constituency che è centrale in un Paese potenza manifatturiera, un blocco sociale sul quale poggia la stessa idea della modernità italiana visto che nelle aziende migliori troviamo i più elevati standard di apertura al mondo, meritocrazia ed efficienza. Il guaio è che questa constituency dell’impresa e del lavoro, nonostante valga almeno 15-16 milioni di voti, si scopre fragile. E ieri in platea questa sensazione era palpabile.
I moderni rischiano di diventare residuali, di essere relegati a una funzione di pura testimonianza. Più di loro conterà una campagna di comunicazione abilmente orchestrata da Matteo Salvini o la piattaforma Rousseau. Del resto non solo la parola «industria» non è stata al centro dell’elaborazione del contratto, ma vi ha fatto una fugace apparizione, in negativo, per sanzionare l’Ilva e i leghisti, che pure hanno un robusto insediamento a Nord, che preferiscono puntare sul dicastero dell’Agricoltura piuttosto che sullo Sviluppo Economico.
Sia chiaro, molti di coloro che ieri hanno applaudito Boccia hanno votato Lega e 5 Stelle e di conseguenza delle due l’una: o l’imprenditoria italiana è strabica o lo slancio di chi ci ha portato fuori dalla crisi non ha incontrato un’offerta politica capace di esaltarne i valori. La verità è che si sente la mancanza di una destra borghese e repubblicana, capace di curare la schizofrenia di cui sopra e restringere l’area di consenso del sovranismo. È singolare, infatti, che quando Salvini deve pescare competenze per il governo non tenti nemmeno di arruolare un imprenditore protagonista del boom dell’export ma si rivolga a uomini privi o dell’esperienza o dell’equilibrio necessario. Boccia nella sua relazione alcune di queste cose le ha dette esplicitamente, altre le ha segnalate in codice. Con linguaggio giornalistico potremmo azzardare che ha collocato la Confindustria all’opposizione del nuovo quadro politico, ma onestamente non sappiamo cosa potrà avvenire e che dialettica si stabilirà tra i nuovi governanti e le rappresentanze d’impresa.