L’economia del nostro Paese prova a rialzare la testa. Segnali incoraggianti sono arrivati ieri dai dati Istat sulla fiducia delle imprese (l’indice generale si è portato ai massimi dall’ottobre 2018 e sopra quota 100, al livello di 101,2 punti dai 99,3 del mese precedente). Stesso trend anche per i consumi (a luglio l’indice è salito oltre le attese a 113,4 punti dai 109,8 di giugno). A soffrire ancora è, invece, il settore manifatturiero che a luglio è sceso ai minimi dal 2015.
Al di là dei dati statistici, anche dal contatto diretto con le imprese si inizia a respirare un clima positivo. Non è però una percezione diffusa e riguarda solo alcuni comparti. «Chi opera in settori che stanno crescendo moltissimo, come la farmaceutica, il packaging o alcuni rami della produzione di elettrodomestici, ha un atteggiamento molto positivo – dice Lucio Poma, responsabile scientifico di Industria e Innovazione di Nomisma -. Altre aree sono ancora in flessione e non vivono questa ripresa». Per l’esperto, vanno molto bene quelle imprese che hanno capito il cambiamento che stava avvenendo e hanno imboccato la traiettoria dell’Industria 4.0 e dell’innovazione tecnologica, di filiera e organizzativa. La speranza è che ci possa essere un effetto contagio da parte di queste società più virtuose anche sulle altre aziende. «In generale non si vedono segnali di una vera svolta generalizzata».
Concorda Giorgio Barba Navaretti, Professore di Economia all’Università di Milano: «Il quadro è misto. Ci sono imprese nel nostro Paese che sono estremamente competitive e con una resilienza sicuramente rafforzata dopo la grande crisi ma rimane l’incertezza del quadro politico e internazionale che pesa».
I rischi? Li ricorda Giuseppe Russo, economista e Direttore del Centro di ricerche Einaudi. Gli occhi sono puntati sui numeri dell’export. «Negli ultimi tre mesi c’è stata una contrazione del commercio internazionale e non si vedeva dal 2008. Il fatto che ci sia stato questo freno è una minaccia per il nostro Paese che è un Paese esportatore». Il calo è avvenuto sull’onda della guerra commerciale tra Usa e Cina. «Se questo trend dovesse perdurare avremmo una flessione anche nel commercio in Europa che è molto esposta, insieme all’Italia, agli andamenti internazionali». Si tratta per ora di variazioni lievi ma il futuro è incerto. Perché questo momento favorevole prosegua occorre che si diradino le nubi sugli scambi internazionali. E’ quel che potrebbe accadere dopo le elezioni in Usa, nel novembre dell’anno prossimo.