Se volessimo raccontarla come una partita a scacchi, la mossa che sta preparando Giuseppe Conte è quella dell’arrocco. La risposta del premier all’Europa prevede impegni solo per il 2019, nulla invece sul 2020, dunque rispetto alla prossima Finanziaria. In altre parole il governo non esclude una costosa riduzione delle tasse, ma soprattutto non prende impegni sull’aumento o meno dell’Iva, un’incognita da 23 miliardi sui conti dell’anno prossimo e con implicazioni severe sul debito pubblico. Nei piani di Conte e del ministro Tria – con il quale in questi giorni si è stretto un’inaspettato sodalizio – la strategia dovrebbe comunque essere sufficiente ad evitare la procedura d’infrazione o comunque rinviarla all’autunno, quando il governo sarà chiamato alle scelte difficili.
Un arrocco che potrebbe sortire un’altro effetto, questa volta tutto in chiave interna: scaricare la pistola di Matteo Salvini contro l’Unione e chiudere la finestra elettorale di luglio. Il timore di Palazzo Chigi, che tra i Cinque Stelle si trasforma in panico, non riguarda le decisioni della Commissione europea, ma le mosse del leader della Lega: la paura è che Salvini voglia tenere alto lo scontro con l’Europa proprio per avere un argomento forte a favore delle elezioni a settembre. La linea di comunicazione va tutta in questa direzione. Ecco l’ultimo affondo: «Il primo impegno che voglio mantenere nella manovra economica è tagliare le tasse a lavoratori e imprenditori italiani. Non c’è nessun braccio di ferro con l’Europa: ridurre le tasse è un nostro impegno e un nostro diritto, anzi un nostro dovere. Nessuno potrà impedirci di farlo. Non a tutti subito – ha aggiunto ieri a Recco – ma a tanti sì. Se a Bruxelles va bene sono contento, se non va bene deve sapere che i soldi degli italiani li gestisce il governo degli italiani». Conte e Tria annuiscono, ma si chiedono: con quali soldi? E come farebbe il governo a reggere politicamente e sui mercati uno scontro aperto con la Commissione?
La strategia di Conte e Tria prevede sostanzialmente di evitare – o almeno congelare – la procedura di infrazione, prendendo impegni piuttosto cogenti per garantire che i conti di quest’anno restino effettivamente entro il 2,1 per cento di deficit. Impegni più cogenti di quelli che Conte prese a gennaio, quando sulla carta ridusse l’indebitamento di quest’anno dal 2,4 per cento al 2,04. Juncker li accettò, ma nel Consiglio ci furono parecchie proteste dei nordici, a partire dagli olandesi. La strada di Conte e Tria non sarebbe una manovra correttiva, ma qualcosa che ci somiglia molto: la modifica dei saldi attraverso l’assestamento di bilancio, prima della pausa estiva. Lì il governo certificherà i risparmi che conta di ottenere dalla minor spesa per reddito di cittadinanza e quota cento, dalle maggiori entrate fiscali e contributive. La Commissione ha chiesto impegni precisi anche per il 2020, e dunque non è detto che ciò basti a evitare che il Consiglio europeo – l’organo che avrà l’ultima parola – vada avanti. Ma chi si occupa del dossier è convinto che se le cose verranno fatte con precisione, potrebbe bastare.
Se la strategia attendista sui conti del 2020 dovesse funzionare, Palazzo Chigi è convinto che nel frattempo si potrebbe neutralizzare la procedura facendo leva sul potere negoziale (indebolito ma pur sempre presente) al tavolo delle trattative per la nomina del nuovo presidente della Commissione europea e del presidente della Banca centrale europea. Conte è convinto di poter ottenere concessioni sostenendo oppure ostacolando i candidati di Angela Merkel e di Emmanuel Macron a quei ruoli. Ma perché la strategia funzioni, occorre che gli impegni sulla tenuta dei conti risultino convincenti ai partner. Non è detto che ciò avvenga.