utti contro tutti. All’indomani della visita del premier Giuseppe Conte a Taranto, il caso dell’ex Ilva resta una bomba sociale pronta a esplodere, con 5 mila lavoratori che rischiano il posto nella migliore delle ipotesi, oltre 10 mila nella peggiore (la chiusura). Ma mentre i giorni passano e si avvicina il 5 dicembre, data in cui la multinazionale franco-indiana Arcelor Mittal lascerebbe la più grande acciaieria d’Europa, la tensione sale e si trasforma in scambi di accuse e scontri, politici e non.
«Non permetteremo a Mittal di andarsene indisturbata», tuona Luigi Di Maio, attuale ministro degli Esteri ma ex titolare dello Sviluppo economico che appena un anno fa giudicava «risolta» la crisi dell’ex Ilva. All’azienda, Di Maio ricorda che «l’Ilva è il simbolo di uno Stato che si deve far rispettare: se l’intenzione di Arcelor Mittal è andarsene dopo aver firmato un contratto, ha sbagliato governo». Il leader del Movimento Cinque Stelle invoca quindi la collaborazione di tutte le forze, «maggioranza e opposizione», che «devono stare dalla stessa parte, quella dei lavoratori, dei cittadini di Taranto e non delle multinazionali». Ma le opposizioni rispondono accusando «il governo di incapaci e irresponsabili» (Silvio Berlusconi, Forza Italia), dubitando di una possibile nazionalizzazione, «poi, chi paga?» (Matteo Salvini, Lega), e avvisando di non «usare Ilva per la campagna elettorale» (Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia).
Ma lo scontro più acceso è quello tra Confindustria e Cgil sugli esuberi. In caso Arcelor Mittal decidesse di rimanere a Taranto, sul tavolo avrebbe già chiesto, oltre al ritorno dello scudo penale, anche un taglio di 5 mila posti di lavoro. Richiesta bocciata da tutti, ma che non va esclusa per il presidente degli industriali Vincenzo Boccia che giudica «un errore madornale pretendere di mantenere i livelli di occupazione nonostante le crisi congiunturali». Meglio sarebbe, dice, «capire come gestire questa fase permettendo di costruire, come accade in tutte le aziende del mondo: ci sono strumenti come la cassa integrazione e altri che si attivano in momenti congiunturali negativi, occorre affrontare il problema con serietà e buonsenso». Perché, «se Ilva arretra per la congiuntura internazionale, ogni azienda deve avere una flessibilità in chiave congiunturale».
Parole che il leader Cgil Maurizio Landini giudica «senza senso: c’è un accordo da far rispettare che prevede degli impegni e anche il presidente Boccia dovrebbe chiedere alla multinazionale di rispettare il nostro Paese e gli accordi». Quella dell’ex Ilva, per il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico, è una «crisi procurata esclusivamente da Mittal». E anche Paolo Gentiloni, commissario europeo agli Affari economici, e premier durante l’esecutivo che definì la cessione ad Arcerlor Mittal, invoca «il rispetto dei patti da tutte le parti». I posti di lavoro vanno salvati, dice il sottosegretario al Lavoro Stanislao Di Piazza: «C’è la volontà del governo di trovare soluzioni affinché i lavoratori non vadano in mezzo a una strada». Per il sindaco di Milano Giuseppe Sala invece «se non si accetta un po’ di riduzione del personale, non se ne esce».
Intanto, anche le ditte dell’indotto tarantino dell’ex Ilva chiedono aiuto: ci sono 5 milioni di euro di fatture scadute e non pagate con un credito di 50 milioni già fatturati e non incassati per prestazioni e forniture. Le aziende, circa 200, temono ripercussioni sullo stop annunciato da Arcelor Mittal e durante un incontro con Confindustria hanno parlato di problemi di liquidità per il pagamento degli stipendi.