Il destino del più grande stabilimento siderurgico d’Europa è finito nel tritacarne del contenzioso tra 5 Stelle e Lega. Nella giornata di ieri, infatti, prima è stata approvata con i voti della coalizione di governo la fiducia al decreto Crescita che toglie l’immunità penale ai nuovi proprietari dell’Ilva, successivamente la stessa maggioranza ha votato un ordine del giorno — il cui valore politico è tutto da dimostrare — che invita «a tutelare la salute e mantenere gli impegni presi» con la multinazionale ArcelorMittal. Un pasticcio che ha pochi precedenti e mostra la totale inaffidabilità del governo, che nello stesso giorno prima ha pigiato l’acceleratore e poi il freno. Il rischio in questi casi è di uscire di strada ovvero di condannare l’Ilva. Da una parte infatti c’è il ministro Luigi Di Maio, che lunedì sarà a Taranto con 5 ministri al seguito per tentare un’operazione di recupero nei confronti del suo ex-elettorato favorevole alla chiusura dell’Ilva, dall’altra Matteo Salvini che vuole tener vivo per fini elettorali un simulacro di dialogo con gli industriali e il sindacato. Entrambi seriamente preoccupati per gli effetti che un fermo o un forte ridimensionamento di Taranto (magari con la chiusura dell’area a caldo, come si sente dire) avrebbe sull’occupazione e sulle forniture di acciaio all’industria del Nord.
Ma come reagirà ArcelorMittal a questi incredibili giri di valzer della politica italiana? Ieri l’amministratore delegato del gruppo, Matthieu Jehl, ha partecipato all’assemblea annuale di Federmeccanica che si è tenuta proprio dentro la fabbrica tarantina per ribadire la centralità di quest’impianto nella morfologia dell’industria italiana. Dal palco il manager francese ha assicurato che «siamo impegnati a migliorare le prestazioni di Taranto e a rispettarne l’ambiente, ma non possiamo essere ritenuti potenzialmente responsabili per problemi che non abbiamo causato noi e che ci siamo impegnati a risolvere. Chiediamo solo le tutele legali necessarie a permetterci di realizzare il piano ambientale». Dopo le poco edificanti notizie provenienti da Roma non ci sono stati ulteriori commenti da parte di ArcelorMittal, anche se dalla dirigenza trapelava nettamente la profonda delusione per le scelte di un governo incapace di ascoltare e che sembra quasi preferire la chiusura di Taranto.
Chi invece di penalizzare l’Ilva non ne vuole nemmeno sentire parlare è il presidente della Federmeccanica, Alberto Dal Poz, che coraggiosamente ha scelto di portare i suoi associati a Taranto per proseguire sul sentiero del rinnovamento culturale. Concretizzatosi finora nella firma dell’ultimo e innovativo contratto di lavoro e nel convinto sostegno alla strategia dell’innovazione 4.0.
Nella geografia delle associazioni confindustriali Federmeccanica — considerata un tempo il nido dei falchi — si è ricavata un ruolo da battistrada nelle relazioni industriali e nelle politiche per il capitale umano. Non è un caso che ieri lo stesso Dal Poz suggerendo al presidente di Confindustria Vincenzo Boccia una sorta di agenda da negoziare con il governo abbia messo in cima proprio la richiesta di un Piano nazionale di formazione a partire dall’istruzione scolastica. «Se qualcuno vi dirà che è meglio un parco a tema che un’acciaieria ditegli che sbaglia» ha concluso il presidente dei meccanici.