Gettare lo sguardo dove gli altri non osano, per pigrizia o per pregiudizio ideologico. È stato questo il merito di Giampaolo Pansa (1° ottobre 1935, 12 gennaio 2020), giornalista di razza prestato alla ricerca e alla divulgazione storica. Una seconda pelle, quella dello “storico della domenica” come amava definirsi l’autore del “Sangue dei vinti”, che gli ha portato tanto successo e uno strascico di polemiche e fraintendimenti. Ora Adele Grisendi, compagna di vita e di ricerche dello scrittore da poco scomparso, mette le cose nella giusta prospettiva curando un volume postumo di Pansa, “Il sangue degli italiani – 1943-1946. Una storia per immagini della guerra civile” (Rizzoli, pagine 288, euro 23). Pagine e illustrazioni che accompagnano il lettore lungo il percorso di oltre mezzo secolo di ricerche. Non è un’antologia, precisa la curatrice, che offre diverse sue testimonianze sugli incontri e i sopralluoghi più significativi. E in una delle ultime pagine mette in chiaro quel che è sottinteso sin dall’inizio: “Giampaolo credeva giusto riconoscere i lutti di entrambe le parti, ma non ha mai messo i vincitori e i vinti sullo stesso piano. I vincitori erano nel giusto, ma è una verità sacrosanta che proprio chi si dichiara migliore non dovrebbe avere scheletri negli armadi. E, comunque, certi armadi è bene aprirli”.
Pansa la pensava così già nel 1959, quando a 23 anni, non ancora laureato, forte del suo carattere irriverente e della preparazione acquisita con la monumentale tesi sulla guerra partigiana tra Genova e il Po, da poco consegnata al professor Guido Quazza, dell’università di Torino, il 24 maggio si presentò a Genova al convegno sulla “Storiografia della Resistenza”, presieduto da Ferruccio Parri, e lanciò il suo messaggio anticonformista. L’intervento prendeva di mira soprattutto uno dei maggiori storici marxisti, Roberto Battaglia, che aveva sottoposto la sua “Storia della Resistenza italiana” prima della pubblicazione alla revisione e all’approvazione del leader comunista Luigi Longo. Senza il suo libro, gli disse Pansa, “non avrei potuto scrivere la mia tesi di laurea”, ma poi il giovane ricercatore cominciò a criticare l’uso di “fonti evidentemente parziali e troppo spesso imprecise”, e una mancanza che accomunava quasi tutte le storie della Resistenza: mancava la voce dell’altra parte, di coloro che avevano combattuto per la Repubblica di Salò. E’ come se, argomentò, si scrivesse una storia della Prima Guerra Mondiale parlando soltanto del fronte italiano, ma ignorando quello austriaco.
Alcuni in sala disapprovarono, ma a qualcuno quell’intervento irriverente piacque. Alla fine della discussione Ferruccio Parri, con gli occhiali appoggiati sulla testa, chiamò in disparte Giampaolo e lo incoraggiò a continuare le ricerche. Poi prese il portafoglio, estrasse il libretto degli assegni e ne consegnò uno da 25mila lire a Pansa. Con quei soldi, ricordò anni dopo il giornalista, “avrei potuto pagarmi un appartamento in centro a Torino per un mese, ma non ebbi mai il coraggio di spendere l’assegno donatomi dal partigiano vicecomandante del Corpo dei volontari per la libertà”.
Spaiare le carte divenne il metodo anche del Pansa giornalista. Ricordiamo un episodio che non c’entra direttamente con questo libro, quando dopo l’assassinio di Carlo Casalegno, vicedirettore della “Stampa”, per mano delle Brigate Rosse, nel novembre 1977, si presentò come inviato di “Repubblica” davanti ai cancelli della Fiat e scoprì in un’epoca in cui ancora si parlava di “sedicenti Brigate Rosse”, che il terrorismo godeva di simpatizzanti anche tra gli operai.
Giornalista considerato di sinistra, quando ha indagato sul “Sangue dei vinti”, sul lato oscuro della Resistenza, si è guadagnato l’epiteto di fascista. Fu invece uno scrittore coraggioso, aggredito con metodi fascisti la sera del 16 ottobre 2006 quando a Reggio Emilia insieme ad Aldo Cazzullo presentò “La grande bugia”. “Viva Schio, viva Schio” gridava uno di quelli che aveva interrotto la conferenza.
A Schio la sera del 6 luglio 1945, a guerra finita da tre mesi, la prigione affollata da ex repubblichini era stata presa d’assalto da un gruppo di partigiani, che uccisero 53 prigionieri inermi. Una strage raccontata nei libri di Pansa, dove prima si trovano anche i delitti compiuti dai fascisti e dai nazisti, come la strage compiuta durante il rastrellamento della Benedicta, in cui caddero 147 partigiani. Pansa in questo volume postumo racconta davvero “Il sangue degli italiani”. Come ha detto il presidente Sergio Mattarella, “,”.
*Corriere della Sera, 6 Dicembre 2020