Chi si interroga su cosa il Piano nazionale di ripresa e resilienza possa offrire alle piccole e medie imprese deve rivedere i termini della sua domanda. Il piano, fin dalle sue premesse, inquadra il tema delle Pmi come parte del problema che affligge la nostra economia più che come possibile soluzione. Tra le ragioni che hanno impedito all’Italia di tenere il passo con le principali economie europee in termini di crescita e di produttività – scrive Mario Draghi nella premessa – c’è proprio la prevalenza di piccole e medie imprese spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto e nel cogliere le opportunità offerta dalla rivoluzione digitale. Più interessante allora domandarsi cosa potranno fare le Pmi italiane per dare il proprio contributo alla transizione economica e digitale che il piano definisce come obiettivi prioritari nell’orizzonte dei prossimi cinque anni.Va detto che nonostante l’analisi sintetica proposta nella premessa del documento, il Dna culturale della Pmi italiana è tutt’altro che incompatibile con gli obiettivi proposti dal Piano. Sul fronte dell’attenzione all’ambiente e ai temi chiave dell’economia circolare, l’impresa manifatturiera italiana, in particolare quella di piccole dimensioni, ha dimostrato da sempre una grande attenzione alla sostenibilità. Ermete Realacci di Symbola ripete spesso che la manifattura italiana, priva di materie prime a basso prezzo, ha dovuto fare della parsimonia (oggi diremmo della circolarità) una virtù necessaria. Quanto al tema della connettività, la Pmi italiana, in particolare quella inserita all’interno di contesti distrettuali, ha sempre avuto piena consapevolezza che il proprio destino dipende dalla qualità del tessuto di relazioni a monte e a valle della catena del valore.
Ciò che è mancato in questi anni è stato l’innesto su larga scala di competenze e saperi manageriali in grado di trasformare questa disponibilità culturale in strumenti di gestione coerenti con i nuovi standard della concorrenza internazionale. In alcuni casi questo è successo e i risultati ottenuti da tante imprese piccole imprese eccellenti, ampiamente rendicontato da ricercatori e analisti in questi anni, testimonia di un Made in Italy tutt’altro che privo di potenzialità. Nei prossimi cinque anni, tuttavia, non ci basteranno i “top performer”. Non ci potremo accontentare dei successi delle imprese “champion” che hanno saputo saldare saper fare della tradizione, cultura del design e nuove tecnologie in tanti campi del Made in Italy. Avremo bisogno di un salto di qualità del sistema nel suo complesso. Questo è l’obiettivo del Pnrr nel prossimo quinquennio: coinvolgere un numero consistente di imprese all’interno di un processo di upgrading che nel corso degli ultimi vent’anni ha proceduto con tempi troppo lenti.Per mettere in moto questa trasformazione di sistema il Piano identifica due leve principali: il potenziamento delle filiere e lo sviluppo della formazione professionale. La prima leva sostiene una tendenza in atto da tempo, che ha visto l’emergere di medie imprese con il ruolo di interfaccia fra sistemi di sviluppo locale e mercati internazionali. Queste imprese leader hanno sviluppato al proprio interno un know how manageriale che consente di accelerare la transizione delle imprese di minori dimensioni. Alle imprese leader possiamo chiedere di condividere con le Pmi software e dati per la programmazione della produzione attraverso il cloud, di condividere i programmi di ottimizzazione degli approvvigionamenti, di ripensare la gestione dei rifiuti industriali, di socializzare nuovi standard operativi rispetto alle richieste di clienti globali. A termine, gli incentivi del Piano dovranno tradursi in soluzioni di governance innovative, magari introducendo veri e propri manager di filiera, come proposto da Carlo Robiglio delegato di Confindustria per le Pmi.
Il secondo aspetto su cui il Piano offre una vera opportunità alla piccola impresa per agganciare la transizione è quello della formazione professionale. L’enfasi riservata agli Istituti tecnici superiori (Its), cui andranno 1,5 mld di euro, costituisce un’opportunità che le piccole imprese non devono e non possono farsi sfuggire. In difficoltà a dialogare con i Competence center e con i grandi centri di ricerca nazionali e internazionali, tante Pmi possono trovare negli Its una sponda naturale non solo per la gestione del reclutamento di nuove risorse ma anche e soprattutto per avviare progetti di sperimentazione rivolti ai principali temi di Industria 4.0 e green economy. I risultati di alcune iniziative promosse a scala nazionale e nell’ambito di diverse realtà regionali confermano da tempo le potenzialità degli Its nel diventare partner qualificati delle Pmi in processi di rapida evoluzione tecnologica.
È lungo queste due direttrici, filiere e formazione professionale, che le piccole imprese potranno sviluppare un ruolo attivo nella transizione verso un’economia più verde e più digitale. Dal successo con cui le Pmi affronteranno la sfida, è bene sottolinearlo, non dipende solo una quota rilevante del nostro prodotto interno lordo e della nostra occupazione. Si gioca soprattutto quel legame storico fra economia e società che costituisce ancora oggi una dei pilastri del nostro modo di intendere la sostenibilità.