Venezia è un miracolo. Sorregge le sue fondamenta su pali di legno, chiude se stessa sulla misura stretta delle sue calli e insieme guarda maestosa al mare, all’Oriente, all’altrove vicino e lontanissimo.
La sua cucina le somiglia centellinando l’esattezza del poco nel tempo della carestia e insieme magnificando la ricchezza delle spezie, dello zucchero, della sua gloria marinara e commerciale. Quella di Venezia è una cucina di acqua e di terra, concentrata sull’equilibrio delicato e perfetto delle sue lagune e del mare poco più in là. Attinge agli orti salmastri delle sue isole, alla riviera, alle valli, per secoli strade di acqua attraversate da merci quotidiane.
Eppure da sempre ha l’abitudine di sposare le cucine lontane, di farle proprie amalgamandone gli aromi, i sapori e i saperi. Così è della tradizione ebraica, talmente mescolata alla tavola veneziana da risultarne inseparabile, indistinguibile: ne sono una testimonianza viva le celebri sarde in soar, ma anche i bigoli in salsa, l’abitudine dei risi e dell’oca. Così anche delle altre culture mediterranee, la greca, la ottomana e quella balcanica celebrata ancora oggi nella festa della Salute che non rinuncia alla castradina e alla sua lunga cottura. E poi il baccalà che arriva da isole gelate e da tempi remoti, “mantecato” con un’arte che perdura il sapore e l’essenza di una città che è un mondo sospeso, unico e irripetibile come solo i sogni più ostinati sanno essere.