Li abbiamo cercati la prima volta l’anno scorso. Li abbiamo incontrati e raccontati. Dodici mesi dopo, adesso, abbiamo ricominciato il viaggio.
Forse era scontato, forse non è una sorpresa il fatto che i 500 Champions della prima classifica abbiano mantenuto le promesse implicite nei dati di allora, replicando le identiche performance di crescita a doppia cifra.
In fondo, gli ultimi bilanci depositati quando è partita la nostra analisi erano quelli del 2017. Ciò che scontato non era, visto che da giugno in avanti il clima in Italia è completamente cambiato e mese dopo mese la ripresa è retrocessa a recessione (tecnica, fin qui), è che poi molti di loro confermassero suppergiù lo stesso trend anche per i conti 2018.
Speranze
Significa che, come accaduto durante la Grande Crisi Globale, sarà questo piccolo (nelle singole dimensioni) spaccato del Paese che produce, esporta, crea lavoro e ricchezza a offrirci qualche riparo in più dai venti che minacciano nuova tempesta.
Non sarà ininfluente. Saranno piccoli, i Champions della Top 500, ma insieme fanno una discreta massa critica. E continuano a presentare risultati per molti aspetti straordinari.
Anche per loro, le aziende con un fatturato tra i 20 e i 120 milioni, l’ingresso tra i Campioni è legato al rispetto di parametri decisamente elevati. Persino più di quelli richiesti alle Top 100, in realtà, perché maggiori sono, in questa fascia dimensionale, i margini naturali di sviluppo.
La selezione
Perciò la prima «scrematura» dalla base di tutte le 11.592 piccole imprese private italiane fissava lo stesso spartiacque del 2018: crescita media aggregata del 7% l’anno negli ultimi sei anni, profitti industriali pari ad almeno il 10% dei ricavi nel l’ultimo triennio. Okay.
La quantità di «piccoli» i cui bilanci sarebbero stati idonei si è rivelata tale da dover spostare ancora più su l’asticella. È in sé un bel segnale, perché significa che dietro ai Champions «certificati» si muove e cresce un altro nutrito plotone di aziende d’eccellenza. Come peraltro è evidente già dal tasso di ricambio all’interno della classifica 2019: 168 new entry, otto Campioni 2018 «promossi» dal salto dimensionale (e dalla conferma delle performance, naturalmente) alla nuova Top 100. Poiché i bilanci sono quelli del 2017, ed eravamo ancora in piena ripresa, è chiaro che in quel ricambio la crisi non c’entra. È un indice di puro dinamismo. Fotografabile così, in aggregato: 22,3 miliardi di fatturato, crescita me dia annua vicina al 13% nel periodo 2011-2017, utili industriali lordi sopra il 19% in ciascuno degli ultimi tre anni.
Anche qui, come tra Top 100, i fondi di private equity fanno la fila. Da vanti a porte altrettanto complicate da aprire.
L’Economia 15 marzo 2019