E adesso? «Adesso punto a 200». Quando lo chiamiamo Claudio Marenzi sta giusto esaminando i numeri del 2017 insieme al direttore finanziario. Il bilancio non è ancora definito, ma com’è andato l’anno è chiaro: i ricavi consolidati sono saliti del 25% arrivando a sfiorare i 100 milioni di euro (per la precisione 96 milioni) e il margine operativo lordo si è assestato attorno al 14- 15% del giro d’affari.
«È andata bene», dice Marenzi, che controlla Herno tramite la holding Cantiere Maggiore. Sono passati dieci anni da quando l’imprenditore ha rilevato le quote dei fratelli nell’ambito del passaggio generazionale. Era il 2007 ed Herno fatturava, allora, 7 milioni di euro.
A fondarla era stato il padre Giuseppe insieme alla moglie Alessandra Diana. La sede è a Lesa, Lago Maggiore, accanto al torrente Erno da cui ha preso il nome; e dove da poco sono stati rifatti, e allargati, gli uffici secondo i principi dell’architettura sostenibile. L’azienda parte come produttore di impermeabili e cappotti sartoriali, cui si aggiungono i piumini con il figlio Claudio che porta Herno nel campo del fashion senza dimenticarne le tradizioni. Appassionato sportivo come il padre, Marenzi junior usa le fibre tipiche dello sport per l’abbigliamento urbano, abbinandole anche a tessuti preziosi.
Accanto al prodotto, punta sull’internazionalizzazione. «La mia strategia—spiega—è sempre stata quella di cercare di normalizzare le varie aree del mondo, se ce ne sono di sottostimate nei confronti di altre investo senza guardare se si tratta di un mercato in crescita o in flessione». Facendo, però, un paese per volta, per non disperdere energie. Prima la Germania, poi la Russia e il Giappone (dove nel 2017 è stata costituita Herno Japan). Infine gli Stati Uniti: è questa l’area che nell’esercizio appena concluso ha messo a segno i risultati migliori, diventando il secondo mercato di Herno, «molto vicino al primo che è quello giapponese».
Sugli Usa l’imprenditore ha concentrato gli investimenti degli ultimi tre anni e da poco ha aperto il primo negozio monomarca aNew York. «In America eravamo storicamente rimasti indietro», ricorda, ed è un mercato destinato a crescere ancora visto che, per l’imprenditore, «come numeri assoluti, dovrebbe essere minimo due volte il Giappone». Certo, con i dazi e le minacce di dazi del presidente Trump… «È naturale che sia preoccupato, ma lo sono di più per una eventuale guerra commerciale Usa-Europa che ne dovesse derivare e che già imprenditori hanno già vissuto negli anni Novanta», dice Marenzi parlando, in questo caso, più come presidente di quella Confindustria Moda, l’organizzazione che ha riunito tutte le anime del settore. Brexit, invece, non lo preoccupa. «Per noi il Regno Unito non è particolarmente importante e anche in generale credo che su Brexit ci siano preoccupazioni eccessive. Londra resterà sempre una destinazione importante per i consumatori del lusso».
*L’Economia, 16 marzo 2018