Le delegazioni ministeriali di Cina e Stati Uniti hanno concluso i tre giorni di negoziati sul commercio a Pechino. Primo faccia a faccia tra gli sherpa delle due principali economie mondiali, dopo la tregua di novanta giorni siglata alla cena in Argentina tra Donald Trump e Xi Jinping. C’è un «cauto ottimismo» nelle due delegazioni. Positività che ieri si è riverberata sui mercati. Le posizioni sono vicine sui capitoli energia e agricoltura. Più complesso invece trovare un accordo sui cambiamenti strutturali all’economia cinese chiesti dagli americani, su temi delicati come trasferimento di tecnologie, tutela della proprietà intellettuale e barriere non tariffarie. Era solo il primo round negoziale. Il prossimo appuntamento è a Davos, a margine del World Economic Forum, dove Trump dovrebbe incontrare il vice presidente Wang Qishan. I negoziati tecnici proseguiranno poi, a più alto livello, entro gennaio a Washington dove il Rappresentante al commercio Robert Lighthizer si confronterà con il suo omologo Liu He, vice premier e uomo di fiducia del presidente Xi apparso a sorpresa lunedì all’apertura del round tecnico per ribadire l’importanza dei negoziati per i cinesi. Fonti della Casa Bianca fanno sapere che Trump, a sua volta, è determinato ad arrivare a un’intesa con la Cina entro la scadenza del primo marzo perché vuole dare un forte segnale ai mercati azionari.
Alla fine della tre giorni di colloqui l’ufficio di Lighthizer ha diffuso una nota che conferma i passi avanti fatti per «raggiungere equità, reciprocità di condizioni e per riequilibrare le relazioni commerciali» tra i due Paesi. Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lu Kang, per sua parte, ha confermato la «positività degli incontri» e ha detto che l’estensione dei colloqui di un giorno mostra «la serietà con cui le due delegazioni stanno affrontando i negoziati».
Nell’energia la Cina si è detta disponibile a importare gas naturale liquefatto americano. Nell’agricoltura i cinesi hanno ripreso ad acquistare riso e soia Usa: a dicembre la Cina ha comprato 2,6 milioni di tonnellate di soia. Ne ordinerà altre 1,3 milioni di tonnellate nel 2019. Inoltre martedì le autorità cinesi hanno dato il via libera all’acquisto di soia ogm americana: DowDuPont produce un seme di soia, l’Enlist, resistente agli erbicidi, la cui autorizzazione alla commercializzazione era attesa da anni. A dicembre inoltre Pechino aveva abbassato i dazi sull’import di auto made in Usa dal 40 al 15% e preparato la bozza di normativa per la tutela della proprietà intellettuale che è sul tavolo negoziale.
L’accordo sul commercio è importante per la Cina che quest’anno vedrà rallentare la crescita attorno al 6%, peggiore dato da quasi trent’anni. Pechino ha varato diverse misure di stimolo per l’economia per limitare i danni della “trade war”. La scorsa settimana la Banca centrale ha immesso 116 miliardi $ di liquidità, tagliando le riserve bancarie obbligatorie di un punto percentuale. Lunedì il governo ha dato il via libera a un piano infrastrutturale di 125 miliardi di dollari. E ieri ha deciso tagli fiscali per le piccole e medie imprese per circa 29 miliardi. I segnali di rallentamento dall’economia reale continuano ad arrivare: l’ultimo è quello sulle vendite di auto scese del 6% nel 2018, a 22,7 milioni di veicoli. Si tratta del primo calo da vent’anni a questa parte in Cina, per quello che è diventato il primo mercato mondiale dell’auto. Goldman Sachs parla di un’ulteriore contrazione del 7% nel 2019. Si potrà rivedere una ripresa del 3% nel 2020. Guerra commerciale permettendo.